L’età fragile
– non è semplice,
non è mai finita

Al di sopra della storia – o meglio delle storie innestate su di esso – c’è il Dente del Lupo, un luogo che nel suo stesso nome incarna la durezza del tessuto osseo dentale, e la propria fragilità, così come la forza e la fragilità del lupo, che porta con sé la paura, l’isolamento e l’incertezza della natura animale e della protezione e sicurezza umana. È nel massiccio montuoso del Gran Sasso – in prossimità della cima del Monte Camicia, dove lo sperone di circa 2420 metri, di roccia affilata e appuntita, appare severo e selvaggio – che il fatto narrato accade ed è accaduto realmente. Chi si addentra, e osa percorrere i suoi boschi, sa anche che è proprio lì che trova vedute inattese tra pareti di roccia bianche, burroni e sporgenze – dove solo i camosci sono a proprio agio.


Al centro di questo libro c’è il valore della relazione, soggetto ed oggetto delicato, fragile appunto ma anche spietato nel suo ruolo indispensabile e potente, che impatta le vite di ogni personaggio.

Lucia e Amanda sono mamma e figlia, e in una fase particolare della loro storia tornano ad essere vicine, ma scoprono di essersi allontanate troppo. Il dialogo è volutamente “roccioso”, lo scambio duro e secco, e le parole scambiate tra loro – anche quelle non dette – fanno male e non si incontrano per capirsi, ma vengono pronunciate per tenere distanza e alimentare paradossalmente incomprensioni, come le rocce che si sbriciolano e in montagna possono essere un vero pericolo.




Sono due donne, adulte – è vero – ma cresciute in mondi diversi, che devono ritrovare un nuovo passo, comune ed intimo, per volersi bene, per comprendersi e ripartire. Sono anche due donne smarrite, la mamma in un fare continuo di attenzioni e doveri, di scelte a volte decise, ma il più delle volte subite, e la figlia inerte, in sospensione, che ha bisogno di fermarsi e di chiudersi per riprendere e riprendersi in un nuovo cammino, di lotte e di persone.

Loro, però, non sono le uniche protagoniste del romanzo: il mondo femminile, in un incessante incespicare di racconti, a tratti troppo brevi – solo accennati, ma che si vorrebbero più approfonditi – esplode tra sogni adolescenziali, scelte, mancanze e colpe parallele, risate e lacrime. Ci sono tre giovani donne che vivono un’estate di scoperte e di terrore, che per le due sorelle sarà mortale e per l’amica Doralice resterà per sempre traumatizzante. Raccoglie ed incarna ogni sfumatura la Sceriffa, mamma di Doralice, un personaggio dal profilo difficile, di cui non tratteggio niente perché, nella sua complessità, è la donna da scoprire.

E poi ci sono gli uomini, presenti e assenti, sensibili e bisognosi alcuni, altri silenziosi e altri ancora, come imbarbariti e resi stranieri da usanze, da distanze, da percorsi di vita dolorosi, da povertà e solitudini troppo animalesche. Osvaldo, Ciarango, Milo ed il maresciallo per citarne alcuni tra tutti: si muovono a piedi, o a cavallo, oppure a bordo di una vecchia ritmo, soli o in coppia, con l’incapacità di relazionarsi nel presente e nel mondo, mostrando un grande bisogno di connettersi e provando desideri che consumano e alterano azioni gesti pensieri.


Al fondo della storia o, di nuovo, delle storie di questo romanzo – tutte presentate nella forma asciutta tipica dell’autrice, seguendo un intreccio destrutturato e impervio come i sentieri montuosi del torrione, si esplorano gli animi delle persone tutte, che hanno dubbi, che provano emozioni, e rileggono i propri pensieri, le loro relazioni, le attese e le sconfitte, i sogni e le delusioni, le vite fragili e spezzate, il dolore ed il bisogno di vicinanza in ogni forma di legame, che la famiglia, il luogo natio e la comunità stessa possono dare.

Ed è proprio in questo intreccio che si apre la mappa, valida e sofferente, su cui ognuno di noi può orientarsi, in un mondo di dolore che mostra un grande potenziale: ci riappacifica con i nostri trascorsi, considera la fragilità universale quale cartina tornasole che accorcia le distanze e ci vuole tutti uniti nel segno della giustizia universale, nel rispetto della dignità e della vita, umana e naturale. “L’ultima stella dell’estate”*.





Marzia Ravazzini

marziaravazzini@yahoo.it

*Conclusione del testo, p. 176 di L’età fragile,
Einaudi, Torino 2023.