I ritardi della ricerca indipendente AIFA

Quando nel 2009 il Governo USA adottò una serie di provvedimenti per fare fronte alla crisi economica internazionale, un intervento riguardava il finanziamento di 1,1 miliardi di dollari per un grande programma di ricerca indipendente: la comparative effectiveness research. C’erano due grandi idee alla base di questo programma. La prima consisteva nel riconoscimento che in numerose aree della medicina e della sanità pubblica, in assenza di confronti fra i diversi interventi disponibili, le decisioni non sono adeguatamente informate: se un paziente o un medico vuole individuare l’opzione più efficace non trova i dati per una scelta consapevole. La seconda era che, in una situazione di crisi, gli investimenti in ricerca andavano salvaguardati, e semmai espansi, perché avrebbero prodotto non solo nuove conoscenze utili a migliorare la salute dei cittadini, ma anche un risparmio attraverso l’eliminazione degli interventi inefficaci.
In Italia, un’idea altrettanto lungimirante, sebbene quantitativamente più ridotta, era stata adottata qualche anno prima, nel 2004, al momento in cui era stata costituita l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). Nella legge istitutiva si era previsto di chiedere alla aziende farmaceutiche di contribuire con il 5% delle spese promozionali a un fondo dell’AIFA, da utilizzare per finanziare, fra le altre finalità, un programma di ricerca indipendente sui farmaci.
Nel 2005 si è avviato il primo bando, suddiviso in tre aree: le malattie rare; i trial comparativi sul profilo beneficio-rischio di farmaci e strategie terapeutiche; gli studi su appropriatezza prescrittiva e sicurezza. Le stesse aree sono state confermate, cambiando solo le tematiche specifiche incluse nei bandi, nei due anni successivi. Nei primi tre anni sono bastati da 6 a 10 mesi per completare un bando: dal momento della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, alla raccolta e valutazione delle lettere di intenti, all’acquisizione dei protocolli definitivi dei ricercatori ammessi alla seconda fase, alla conduzione delle “study session” di valutazione (composte soprattutto da ricercatori stranieri) da cui derivava la graduatoria finale.
Dal 2008 le cose hanno iniziato a cambiare, e come prima cosa è scomparsa dal bando l’area di ricerca delle malattie rare. In seguito si è perduta la regolarità, e solo in due dei sei anni successivi è stato pubblicato un bando. Infine, si sono prolungati i tempi. Per completare il bando del 2010 e ottenere l’approvazione da parte del CdA dell’AIFA sono stati necessari 18 mesi. L’ultimo bando, poi, pubblicato in Gazzetta Ufficiale nel febbraio 2012 è ancora a metà del processo di valutazione. È incomprensibile perché in quasi tre anni non si sia riusciti a completare la valutazione; non si capisce neppure perché, nonostante le ripetute richieste, non sia stata fornita alcuna informazione sullo stato di avanzamento ai ricercatori ammessi alla presentazione dei protocolli definitivi.
La tabella qui sotto riassume alcuni dati di riferimento dei bandi dal 2005 a oggi. Nei prossimi mesi torneremo sull’argomento per mostrare più in dettaglio i risultati ottenuti. Fin d’ora, tuttavia, per comprendere quello che si sta perdendo in questa situazione di stallo, il modo migliore è citare i risultati di due dei tanti progetti finanziati che hanno avuto risultati pubblicati su riviste internazionali1,2. Il primo esempio riguarda uno studio nel quale l’AIFA ha cofinanziato, nel 2005, un progetto già avviato attraverso un finanziamento di Telethon. Grazie all’ulteriore sostegno dell’AIFA, i ricercatori hanno potuto allargare il numero di pazienti in studio e ottenere conclusioni più solide. I risultati hanno mostrato l’efficacia di una terapia genica per una rarissima e gravissima immunodeficienza dovuta a un deficit dell’enzima adenosina deaminasi (ADA-Scid).






Il secondo esempio è relativo a uno studio multicentrico comparativo fra un nuovo farmaco, l’erlotinib, e la chemioterapia a base di docetaxel, nel trattamento di seconda linea dei pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule (e marcatore EGFR wild type). I risultati hanno mostrato che l’erlotinib, nonostante un costo aggiuntivo di circa 2000 euro per paziente, produce esiti peggiori in termini di tempo alla progressione della malattia e di sopravvivenza complessiva. Tenuto conto che l’erlotinib sarebbe potuto diventare il farmaco di riferimento per questi pazienti (il 90% circa dei pazienti con questo tumore), si comprende come l’applicazione dei risultati dello studio nella pratica medica possa produrre contemporaneamente un miglioramento dello stato di salute e un risparmio per il Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Si può stimare che questo studio, approvato nel 2007, abbia fatto risparmiare al SSN, in 2-3 anni, più del finanziamento AIFA per tutti i progetti di quell’anno (circa 13 milioni di euro).
In conclusione, non riuscire a garantire continuità nella gestione dei programmi di ricerca è dannoso. Lo è per la salute dei pazienti, che non possono beneficiare delle nuove conoscenze che la ricerca clinica rende disponibili. Lo è per la spesa del SSN, perché trattamenti subottimali, magari più costosi, continuano a essere praticati inutilmente. Lo è infine, per l’insieme della ricerca italiana, che già deve fare i conti con risorse scarsissime, se le poche risorse disponibili non vengono neppure utilizzate. E ad essere danneggiate sono innanzitutto le ricerche che hanno minore interesse commerciale, come capita spesso nel caso delle malattie rare e degli studi comparativi.
Questa situazione non dovrebbe essere considerata accettabile. Se un’istituzione pubblica non riesce a utilizzare i fondi che ha a disposizione, questi dovrebbero essere sottratti dal bilancio per utilizzarli al meglio. Se in un tempo ragionevole non vengono adottati provvedimenti correttivi, ci sono almeno due opzioni alternative. La prima è di trasferire a un’altra istituzione che garantisca continuità, trasparenza ed efficienza di gestione il compito di amministrare il programma della ricerca indipendente sui farmaci. La seconda è quella di restituire tout court i fondi alle aziende farmaceutiche che li hanno versati. Quest’ultima soluzione sarebbe, certo, la testimonianza di un fallimento. Nello stesso tempo, e tanto più in una condizione di crisi economica, sarebbe irragionevole continuare a chiedere contributi – ai cittadini come alle imprese – senza che questi siano poi utilizzati nel migliore interesse della collettività.
Giuseppe Traversa
Centro nazionale di epidemiologia
Istituto Superiore di Sanità
giuseppe.traversa@iss.it

BIBLIOGRAFIA
1. Aiuti A, Cattaneo F, Galimberti S, et al. Gene therapy for immunodeficiency due to adenosine deaminase deficiency. N Engl J Med 2009; 360: 447-58. doi: 10.1056/NEJMoa0805817.
2. Garassino M, Martelli O, Broggini M, et al. Erlotinib versus docetaxel as second-line treatment of patients with advanced non-small-cell lung cancer and wild-type EGFR tumours (TAILOR): a randomised controlled trial. Lancet oncol 2013; 14 :981-8. doi: 10.1016/S1470-2045(13)70310-3.

NB. Devo precisare di non essere “esterno” rispetto all’argomento trattato. Da dicembre 2005 a maggio 2009 sono stato responsabile dell’Ufficio Ricerca e Sviluppo dell’AIFA, mentre da dicembre 2012 a luglio 2014 sono stato componente del CdA dell’AIFA.