DISPERANZA


La libertà e l’autodeterminazione del paziente di scegliere gli interventi terapeutici
“Non confondiamo l’eutanasia con le direttive di trattamento”

La discussione del ddl 1142 sul biotestamento, iniziata nel peggiore dei modi alla Camera con la stragrande maggioranza dei parlamentari che hanno disertato l’Aula, genera riflessioni e posizioni discordanti. Sulla normativa in tema di consenso informato e di disposizioni anticipate in materia di trattamento terapeutico è intervenuto
Guido Bertolini, epidemiologo dell’Istituto Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”, che ha fatto della terapia intensiva la sua missione.

Possiamo fare chiarezza sul valore del biotestamento?
L’articolo 32 della nostra Costituzione è molto chiaro e sancisce che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. È, dunque, un principio fondamentale di libertà. La libertà di scegliere sempre i trattamenti cui si viene sottoposti, di avere l’ultima parola. Il valore delle dichiarazioni anticipate di trattamento o testamento biologico, come qualche volta vengono chiamate, è quello di garantire questo diritto anche quando non si è più in grado di intendere e volere.

Quindi l’eutanasia non deve essere assolutamente considerata una conseguenza delle direttive anticipate?
Rinunciare a un trattamento salvavita non è assolutamente eutanasia. Il confine tra eutanasia e disposizioni anticipate è netto e chiaro e non si deve fare confusione. Si intende eutanasia quando il paziente chiede di porre fine alla propria esistenza, non più considerata sostenibile a causa di una malattia o una menomazione. È cosa ben diversa da quando la persona decide di non voler più ricevere un trattamento sanitario che non ritiene adeguato alla propria condizione. Il rifiuto delle trasfusioni da parte dei testimoni di Geova è un chiaro esempio come quello che si verifica quando il paziente, in piena consapevolezza, decide di non sottoporsi a un intervento chirurgico, seppur fondamentale per il suo grave stato clinico. In entrambi i casi non si può parlare di eutanasia.

Il rifiuto all’idratazione e alla nutrizione artificiale non può essere inserito nelle dichiarazioni anticipate?
L’idratazione e la nutrizione artificiale sono a tutti gli effetti trattamenti di alta specializzazione, che ciascuno di noi può rifiutare in virtù dell’articolo 32 della Costituzione. In molti pazienti terminali, fra l’altro, un’idratazione forzata può essere fonte di ulteriore sofferenza. C’è ipocrisia su questo argomento: perché se siamo lucidi possiamo rifiutare cibo e acqua, mentre se siamo affetti da una malattia perdiamo pure questo diritto?

Quindi non c’è mai il rischio che venga meno la mission del medico?
Nessuno si sogna di abbandonare il paziente, ma il medico ha il dovere di lavorare accettando il principio di autonomia di ciascun paziente che è un diritto inalienabile. Non si può imporre a nessuno un trattamento che questi non voglia ricevere.

Quindi anche sulle direttive anticipate occorre fare chiarezza, per non confondere la perdita di coscienza a causa di uno shock anafilattico con uno stato vegetativo di una malattia dall’evoluzione accerta
Le direttive anticipate si riferiscono a situazioni che vengono ben precisate. È del tutto pretestuoso pensare che se io mi esprimessi sui trattamenti che accetterei in condizioni di stato vegetativo rischierei di non ricevere le cure adeguate in caso di shock anafilattico o di un qualsiasi altro evento imprevisto.

Welby, Englaro, Dj Fabo: tanti casi eloquenti che hanno fatto discutere e continuano a dividere
Welby era perfettamente in grado di intendere e volere e il suo non è stato un caso di eutanasia. A un certo punto ha ritenuto di non accettare più la ventilazione, cui era legato dalla sua terribile malattia. Se così non fosse stato, il medico che ha interrotto la ventilazione, garantendogli così il diritto costituzionale di rifiutare un trattamento, sarebbe stato condannato, dal momento che l’eutanasia è illegale nel nostro Paese. A causa di un incidente Eluana Englaro non poteva più esprimere il suo volere. È stata mantenuta in vita da un trattamento di nutrizione e idratazione artificiale per oltre 17 anni. Prima dell’incidente aveva chiaramente dichiarato che non avrebbe mai accettato questi trattamenti. Anche in quel caso, quindi, la sospensione di nutrizione e idratazione artificiali non è stato altro che il riconoscimento del suo diritto costituzionale. Il caso di Dj Fabo è invece un caso di eutanasia vera e propria, dal momento che non vi erano trattamenti in atto che avrebbe potuto sospendere. Lui ha chiesto di porre attivamente fine alla sua vita, che non riteneva più sostenibile. Ma c’è anche da non dimenticare il caso Giovanni Nuvoli, che aveva chiesto l’interruzione della ventilazione artificiale e, poiché questo non gli venne concesso, si lasciò morire rifiutandosi di mangiare e di bere: questo non deve più succedere.
Quello che posso augurarmi è che l’Italia si allinei quanto prima agli altri Paesi civili in materia di direttive anticipate. Finora il mondo politico nel nostro Paese è stato del tutto latitante su questo tema. Probabilmente per la paura di esporsi, rischiando di compromettere visibilità, equilibri e interessi.
Guido Bertolini
Laboratorio di Epidemiologia Clinica
Centro di Coordinamento GiViTI
Dipartimento di Salute Pubblica
IRCCS – Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”
Villa Camozzi, Ranica (BG)
guido.bertolini@marionegri.it

Intervista di Marco Tosarello pubblicata il 21 marzo 2017.
www.prideonline.it/2017/03/21/guido-bertolini-non-confondiamo-leutanasia-le-direttive-trattamento/




Sperimentare su mia madre

Sono immerso nella gestione degli ultimi giorni/mesi di vita di mia madre. Cerco di gestire la sua insufficienza cardiaca terminale al meglio delle mie possibilità. Sembra strano ma una volta superata la crisi di edema polmonare ogni volta torna perfettamente vigile e capace di affrontare le incombenze quotidiane. Riesce a farsi la doccia da sola, a volte persino a cucinarsi. 97 anni e il cervello continua a funzionare stupendamente.
L’insufficienza cardiaca terminale non viene discussa nei congressi. Men che meno la gestione domiciliare di questa patologia. Forse dovrei raccontare questa storia, forse potrebbe essere utile a qualcuno.
Per manipolare “la paziente” il meno possibile ho eliminato cateteri e somministrazioni IV di farmaci. Una bella sedia con un buco centrale mi permette di gestire l’edema polmonare e monitorizzare la pipì. Faccio a meno anche della pressione positiva di ossigeno e uso solo una maschera per gli alti flussi e una naso-cannula quando scendo sotto i 6 L/min.
Durante le crisi ovviamente uso costantemente saturimetro e misuratore automatico della MAP (pressione arteriosa media). Monitorizzo edemi periferici e andamento della Pressione Venosa Centrale con gli occhi e le mani.
Durante le crisi non serve neppure ascoltare con il fonendoscopio.
Ormai riesco a distinguere le varie fasi dell’edema polmonare con le variazioni della FR e della rumorosità del respiro. La cosa più assurda è il dosaggio dei farmaci. Sono costretto continuamente a cambiare dose a seconda della fase. Se sbaglio e la pressione scende troppo… inevitabilmente lo shock cardiogeno scatenerà le contromisure fisiologiche e un nuovo edema polmonare dovrà essere affrontato.
Ho studiato un po’ le apparecchiature che mi servirebbero, ho scoperto che tutte avrebbero un costo bassissimo rapportato al numero di pazienti cui potrebbero essere utili, ma gli ospedali e/o i “servizi territoriali” non sono attrezzati. La capnografia ha ormai dei costi contenutissimi, ma nessun ospedale o servizio territoriale di supporto ne conosce l’utilità. Nell’insufficienza cardiaca terminale dovrebbe essere molto utile per il progressivo abbassamento della ETCO2 che caratterizza la fase di shock che precede l’edema polmonare. Io invece guardo [omissis] e mi immagino l’andamento della capnografia in quel momento e così decido di sospendere tutto per farle recuperare un po di PA ed evitarle una nuova crisi di “mancanza d’aria”. Potrei scommettere sul numero di edemi polmonari che le ho causato sbagliando tempistica di sospensione della terapia: se scende sotto i 50 di MAP senza che le tolga immediatamente il cerotto di nitroglicerina l’edema polmonare nel giro di qualche ora sarà inevitabile. Il dosaggio minimo disponibile è di 5 mg ma un paziente anziano in queste condizioni dovrebbe avere la possibilità di scendere anche a 2,5 mg e invece bisogna tagliare e affdarsi alla imprecisione che ne deriva.
Poi c’è l’utilizzo della morfina. Se ne uso troppa o impropriamente (alcune crisi all’inizio sembrano peggiori di quelle che saranno in realtà) il giorno dopo è una tragedia di effetti collaterali. Se ne uso troppo poca ho per alcune ore il rimorso di “lasciarla andare” senza la necessaria sedazione. E la tempistica del Lasix? Ho scoperto che la somministrazione orale funziona molto meglio della vena. È molto importante che il nitroderivato funzioni prima dell’effetto diuretico e così lo spray subito prima della somministrazione orale di Lasix all’inizio della crisi ha effetti combinati splendidi. Il diuretico in vena agisce troppo presto e paradossalmente scatena reazioni fisiologiche incontrollabili e di impossibile gestione.
Il tutto è ben descritto in letteratura, ma non un solo esperto mi ha spiegato queste cose: le ho dovute “sperimentare” su mia madre e capire da solo!
Sarebbe troppo lungo, ma di una cosa mi vado sempre più convincendo: perché i medici non imparano dalle loro esperienze quotidiane? Per una ragione semplice: pensano che la competenza derivi dalla quantità di problemi affrontati e in realtà il problema vero è che non hanno il tempo di ragionare sulla qualità di poche esperienze ben digerite. Due o tre casi ben affrontati e discussi valgono molto di più per “diventare medico” di centinaia di casi affrontati come routine!
Salvo Fedele
Pediatra, Palermo; WEBM.org
salvo fedele@me.com