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“Duplice attività” dei medici ospedalieri:
ippocratica o ipocritica?


Secondo i principi dell’economia sanitaria, i medici remunerati da un ‘terzo pagante’ (nel caso italiano il Servizio Sanitario Nazionale) instaurano una ‘relazione di agenzia’ con il paziente, che implica in linea teorica una reciproca fiducia1. La ‘duplice attività’ dei medici, intesa come combinazione di attività pubblica e privata, può determinare l’insorgenza di possibili conflitti di interesse nell’ambito di questa relazione2. Potenzialmente, la duplice attività potrebbe addirittura condurre i medici ad assumere ‘comportamenti predatori’ nei casi in cui perseguissero il proprio interesse a discapito di quello di colleghi o pazienti, così delegittimando il servizio pubblico e compromettendo la propria credibilità nell’opinione pubblica. La duplice attività esiste da sempre nella maggior parte dei sistemi sanitari di tutto il mondo, indipendentemente dalla ricchezza delle singole nazioni3. Il Canada risulta l’unico Paese con elevate risorse in cui questa pratica è scoraggiata e addirittura vietata in alcune province4. È opinione diffusa e condivisa che la duplice attività assume un’importanza diversa nei Paesi con scarse risorse rispetto a quelli sviluppati5,6, in quanto nei primi i governi possono raramente garantire la copertura sanitaria universale nella fornitura dei servizi sanitari e della loro regolamentazione7. Una caratteristica comune dei Paesi in cui la duplice attività risulta molto diffusa è costituita dalla remunerazione del pubblico impiego con compensi fissi (solitamente stipendi) e contestualmente dall’offerta di servizi sanitari privati rimborsati con pagamenti a prestazione (prevalentemente tariffe). A livello individuale il potenziale per la duplice attività varia moltissimo anche in relazione alla specialità e all’esperienza acquisita in carriera da un medico. Infatti la relazione con i pazienti è necessariamente più intensa per determinate specialità mediche e chirurgiche, nelle quali si instaura un rapporto più personale con il paziente, assai meno per altre specialità, quali il laboratorio di analisi o la radiologia8. È quindi probabile che la duplice attività sia molto più diffusa in talune specialità (ad esempio, cardiologia, dermatologia, ortopedia, ostetricia e ginecologia). Infine, siccome costruirsi una buona reputazione e attrarre pazienti nel settore privato richiede comunque anni per qualsiasi medico9, la duplice attività è solitamente associata anche all’età di un medico10.

CONTESTO EUROPEO
Alla maggioranza dei medici ospedalieri europei è permesso di operare anche in strutture private4. Quasi tutti i medici dipendenti di ospedali pubblici praticano anche privatamente in Austria e Irlanda e più della metà nel Regno Unito, con un limite reddituale (in ambito privato) del 10% del proprio reddito in caso di lavoro a tempo pieno, o senza alcun limite in caso di tempo determinato10. Limiti di reddito nel privato sono stati fissati anche per i medici ospedalieri pubblici in Francia (30% del reddito totale)11. In Finlandia i medici pubblici forniscono la maggior parte dei servizi erogati dal settore privato; la duplice attività è abbastanza comune fra i medici dirigenti anche in Svezia e Norvegia12. Infine, nei Paesi del Sud Europa, quali Grecia e Portogallo, in cui la duplice attività era formalmente vietata fino alla fine del secondo millennio, molti medici ospedalieri erano comunque soliti praticare privatamente anche prima della revoca di tale divieto11.
La duplice attività può essere regolamentata anche incoraggiando i medici a praticare privatamente nei propri ospedali pubblici (ad esempio, in Austria, Francia, Germania, Italia), remunerandoli con una quota parte delle somme ricevute dalle amministrazioni ospedaliere per l’utilizzo privato delle proprie strutture ospedaliere11. I pazienti possono pagare per ottenere maggiori ‘comfort’ alberghieri e/o per la libera scelta del medico13,14. In Italia i medici ospedalieri possono comunque rifiutare la duplice attività (c. d. intramoenia) e optare di operare privatamente al fuori del proprio ospedale14; peraltro, in questo caso non è loro permesso di ricoprire ruoli apicali nei propri dipartimenti ospedalieri ed è previsto un taglio del 10-15% dei loro stipendi. Regole simili sono vigenti in Portogallo e Spagna4.

CRITICITÀ
Volendo grossolanamente distinguere fra argomenti a favore e a sfavore della duplice attività, si può facilmente riscontrare come quelli negativi prevalgano ampiamente nell’ambito della letteratura europea. Si paventa che la duplice attività determini un ulteriore sviluppo di attività privata, a tutto scapito dei servizi sanitari pubblici erogati, grazie alle maggiori opportunità di guadagno nel privato6. Nelle fasi iniziali di carriera, i medici che propendono per la duplice attività possono essere molto motivati a crearsi una solida reputazione nelle strutture pubbliche, al fine di crearsi in futuro maggiori opportunità di lavoro in ambito privato11. Successivamente, questi medici sono generalmente orientati a ridurre i propri orari di lavoro nel pubblico e a indirizzare i pazienti in ambito privato, con un impatto negativo sull’erogazione di servizi pubblici4,7. Gli incentivi finanziari sembrano costituire la motivazione principale alla duplice attività anche in nazioni caratterizzate da elevati stipendi nel settore pubblico, quale ad esempio la Norvegia12. Un’altra prevedibile conseguenza potenziale della duplice attività è quella in termini di liste di attesa, in quanto i medici interessati ad aumentare le proprie prestazioni in ambito privato indirizzeranno presumibilmente i pazienti più facoltosi presenti nelle liste di attesa pubbliche verso appuntamenti di più immediata scadenza nell’ambito della propria assistenza privata6,7. In mercati ricchi, quali quelli dell’Europa occidentale, questo comportamento è supportato anche dalla teoria economica15. Infatti, minore è la fornitura di attività lavorative nel settore pubblico, maggiore è la domanda di servizi sanitari nel privato qualora i pazienti possano redditualmente permettersi di passare dalle cure gratuite nel settore pubblico a quelle onerose nel privato. In tal senso, una correlazione positiva fra reddito medio privato dei medici e liste di attesa nel settore pubblico è stata riscontrata nel Servizio Sanitario Nazionale inglese a livello di specialità clinica10. Ciò determina una potenziale iniquità di accesso ai servizi sanitari, in quanto i pazienti in grado di pagare possono ‘saltare’ le liste di attesa rispetto agli altri, indipendentemente dall’effettiva urgenza dei propri bisogni sanitari7.
Una forma più sofisticata di duplice attività è quella incoraggiata direttamente dalle autorità sanitarie, tendente a impegnare e trattenere ulteriormente lo staff medico più qualificato nelle strutture pubbliche11. Peraltro, questa forma particolare di duplice attività è stata recentemente associata al concetto etico di ‘corruzione istituzionale’13, cioè una situazione in cui il livello istituzionale introduce incentivi mirati a incrementare attività (legali) che possono in prospettiva compromettere la capacità delle istituzioni stesse di raggiungere i propri obiettivi primari16,17. In effetti, anche questa tipologia particolare di duplice attività può sollevare potenziali conflitti di interesse e iniquità, dal momento che per i medici ospedalieri pubblici è previsto un ‘compenso aggiuntivo’ per trattare pazienti disposti a pagare pur di saltare le liste di attesa pubbliche14. In base a una recente indagine18, in Italia il tempo medio di attesa per un servizio sanitario pubblico negli ultimi tre anni è stato quasi 11 volte inferiore per le prestazioni erogate in intramoenia rispetto a quelle normali (6 giorni vs 65). Inoltre, la necessità di una gestione separata delle attività private rispetto a quelle pubbliche (onde evitare sovrapposizioni organizzative) da parte delle amministrazioni ospedaliere è probabile si traduca in uno spreco di risorse pubbliche (causato del tempo dedicato alla gestione dell’attività privata)14.
Nonostante gli argomenti a sfavore della duplice attività siano prevalenti, le soluzioni proposte in letteratura difficilmente ne includono la messa al bando. La giustificazione più frequentemente addotta è che il divieto della duplice attività ridurrebbe la capacità attrattiva degli ospedali pubblici, favorendo di converso il passaggio dei medici più qualificati al settore privato7,11. Inoltre, si presuppone che l’autoregolamentazione professionale della classe medica nei paesi europei sia sufficientemente rigorosa da scongiurare comportamenti incresciosi associati alla duplice attività7, che andrebbero comunque ulteriormente scoraggiati aumentando i salari pubblici dei medici. La maggior parte degli articoli conclude, come da prassi, che ulteriori analisi sono auspicabili per valutare più correttamente l’impatto reale della duplice attività sui servizi sanitari pubblici6.

DISCUSSIONE
La duplice attività è un argomento scarsamente dibattuto nella letteratura europea e internazionale, nonostante la sua importanza potenziale, specialmente (e forse non del tutto casualmente) sulle riviste mediche. Una spiegazione plausibile per questa scarsa attenzione potrebbe essere che la duplice attività raramente danneggia in modo diretto i pazienti nei Paesi sviluppati e i suoi potenziali effetti negativi sono principalmente indiretti, tipicamente maggiore inefficienza e iniquità nei sistemi sanitari, una prassi quindi apparentemente ‘senza vittime’. Di conseguenza, il dibattito sulla duplice attività risulta di scarso interesse per l’opinione pubblica e i media, perché ‘non fa notizia’13. Questo ragionamento può essere grossomodo esteso al più ampio concetto di corruzione istituzionale, solitamente trascurato perché nell’immaginario collettivo predomina quello di corruzione individuale, mentre per la corruzione istituzionale è opinione diffusa che non esistano in realtà soluzioni concrete per sradicarla19.
In base alla teoria dell’economia del lavoro, i lavoratori dipendenti in grado di lavorare ore eccedentarie rispetto al proprio impiego principale ricorrono a un secondo lavoro solamente quando il primo fornisce un reddito fisso inferiore alle proprie aspettative, mentre il secondo è in grado di offrire elevati guadagni aggiuntivi7. Di conseguenza, qualora il secondo impiego sia ben remunerato e il lavoratore ottenga maggiori benefici dal reddito aggiuntivo rispetto al tempo libero perduto, è probabile che la duplice attività complessivamente aumenti l’offerta di lavoro6. Per quanto concerne i medici, è opinione generalmente condivisa che le cure sanitarie offerte al paziente costituiscano il loro interesse primario, mentre quello del guadagno dovrebbe essere secondario13. Questa percezione è stata recentemente confermata da un’indagine nazionale olandese8, in cui i medici ospedalieri hanno manifestato come proprio interesse primario ‘la miglior cura possibile ai pazienti’, ponendo soltanto al quinto posto quello di un ‘reddito soddisfacente’ fra i nove interessi secondari associati al lavoro e alla vita privata, ben al di sotto di quello classificatosi secondo (‘buon lavoro – vita equilibrata’).
L’interesse dei medici pubblici alla duplice attività è abitualmente giustificato dalla percezione predominante che gli stipendi nel settore sanitario pubblico non siano mai del tutto soddisfacenti13. Questa sensazione è stata indirettamente confermata da un’indagine locale inglese20: la maggioranza dei medici che svolgono una doppia attività ha affermato che rinuncerebbe volentieri a quella privata in cambio di uno stipendio più elevato nel pubblico. Peraltro, i medici che si prestano alla duplice attività sono spesso sospettati di concentrarsi maggiormente sull’attività privata a scapito di quella pubblica6, così compromettendo la propria reputazione professionale. Alcune dure reazioni successive all’introduzione nel 1999 di restrizioni alla duplice attività in Italia (ospedali pubblici associati a ‘campi nazisti’ per medici)14 e in Canada (riforme ‘comuniste degne di Cuba e della Corea del Nord’)21 sembrano indirettamente supportare questo sospetto e anche far trasparire un po’ di ‘coscienze sporche’ in una parte della classe medica.
In generale, è doveroso ricordare che la laurea in medicina richiede più anni di studio (sei nella maggior parte dei Paesi europei)22 rispetto alla maggioranza delle altre discipline e i medici neo-laureati percepiscono solitamente un reddito limitato durante la loro formazione pluriennale post-laurea per ottenere una specialità. Sebbene il reddito dei medici ospedalieri sia solitamente considerato elevato rispetto a quello di altri lavoratori qualificati12, è difficile trovare stime attendibili e cifre dettagliate in proposito. Ad esempio, in Italia il reddito medio stimato per un medico ospedaliero (77.140 euro nel 2015)23 è più che doppio rispetto a quello generale di un lavoratore dipendente (35.900 euro nel 2016)24, mentre nel 2000 il rapporto analogo era stimato all’incirca quattro volte superiore per i medici in Germania5. Tuttavia, qualsiasi stima di reddito medico medio può inglobare variazioni molto ampie in base alla specialità medica e all’anzianità di laurea. Come sottolineato molto di recente in Inghilterra25, le disparità di reddito fra medici possono risultare sorprendenti e i picchi massimi addirittura imbarazzanti e assai difficilmente giustificabili presso l’opinione pubblica. In particolare, il reddito medio è assai elevato per alcune specialità particolarmente propense alla duplice attività (ad esempio, oculisti, cardiologi e ortopedici)10,12, generando iniquità nell’ambito della stessa professione medica visto che, ad esempio, i medici delle unità di terapia intensiva svolgono assai raramente attività privata.
Un diverso approccio di analisi alla duplice attività potrebbe derivare dall’economia aziendale e dall’organizzazione del lavoro. Innanzitutto, appare molto peculiare che un dipendente possa lavorare contemporaneamente per due aziende26; a maggior ragione, può essere considerato ancora più strano che un manager aziendale abbia a che fare privatamente con gli stessi clienti nel proprio tempo libero, come spesso accade ai medici operanti in duplice attività con i propri pazienti. In secondo luogo, i professionisti sanitari che operano in ambito ospedaliero (infermieri inclusi) svolgono un’attività usurante, a fasi cicliche anche di notte e nei fine settimana27; di conseguenza, potrebbero beneficiare maggiormente di lunghe pause di servizio, piuttosto che di forme stressanti di doppio lavoro. Allo stesso modo, una cultura organizzativa basata sul lavoro di gruppo e sulla collaborazione (‘cultura del clan’)28 sarebbe sicuramente più indicata negli ospedali pubblici rispetto a un approccio basato sulla concorrenza (‘cultura del mercato’). Infine, una siffatta cultura renderebbe assai meno problematica anche la possibilità di far scegliere ai pazienti il proprio medico curante preferito all’interno degli ospedali pubblici.

IMPLICAZIONI DI POLITICA SANITARIA
È opinione comune che l’interesse prioritario dei medici sia la salute dei propri pazienti e quindi la loro attività prioritaria quella dell’assistenza clinica diretta25. Ciò dovrebbe costituire la motivazione principale di uno studente per scegliere la facoltà di medicina all’università e i successivi corsi di specialità post-laurea. Se, da un lato, la medicina va considerata prima di tutto una missione mirata alla cura dei pazienti, e non può quindi essere praticata come un business per massimizzare il reddito, d’altro canto non può e non deve nemmeno comportare necessariamente sacrifici illimitati29. È quindi legittimo auspicare una remunerazione sufficientemente soddisfacente per i medici in una società civilizzata. Visti i ritmi di lavoro conseguenti alla gravosità degli impegni, si possono anche ipotizzare forme di pensionamento precoce, specialmente per le specialità più stressanti e a rischio di ‘burnout’, quali ad esempio la chirurgia e la psichiatria. Se, dal lato dell’offerta, il ruolo del medico non può e non deve essere quello di un imprenditore13, allo stesso modo, dal lato della domanda, i pazienti non possono essere considerati alla stregua di consumatori che vanno a fare la spesa in cerca dei migliori affari disponibili sul mercato1: la malattia, qualunque sia, compromette la loro salute, rendendoli vulnerabili e spesso soggetti a ricatti di natura monetaria. Siccome la salute è basilare nella gerarchia dei bisogni umani30 e la malattia minaccia la dignità delle persone, la sanità non dovrebbe mai essere troppo costosa in una società che si definisce civile4.
È comunque difficile immaginare, anche in Paesi con elevate risorse, un sistema sanitario assolutamente equo, in cui i soggetti più abbienti non godano di vantaggi rispetto a quelli più disagiati. Uno scenario del genere sarebbe semplicemente irrealistico, come in qualsiasi altro ramo di attività. In questa sede vogliamo semplicemente sostenere che i servizi sanitari pubblici e privati possono coesistere, ma mantenendoli separati, senza sovrapposizioni. In particolare, in questo periodo storico di crisi finanziaria permanente, i servizi pubblici dovrebbero essere in grado di soddisfare, rapidamente e pressoché gratuitamente, i bisogni sanitari della maggioranza della popolazione. Pertanto qualunque forma di duplice attività dovrebbe essere vietata nei Paesi europei e le ricerche future dovrebbero focalizzarsi esclusivamente sull’analisi di soluzioni accettabili per gestire e gratificare nel migliore dei modi una professione socialmente utile come quella del medico nel settore pubblico, lasciando alle logiche del mercato la pratica medica esercitata nel settore privato.
Livio Garattini
Paola De Compadri
Centro di Economia Sanitaria A. e A. Valenti (CESAV)
Dipartimento di Salute Pubblica
Istituto di Ricerche Farmacologiche
Mario Negri IRCCS, Milano
livio.garattini@marionegri.it

BIBLIOGRAFIA
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La rimborsabilità dei contraccettivi essenziali
A metà degli anni 70’ in attesa della riforma sanitaria, furono istituiti consultori familiari che, accanto alla offerta di consulenze e servizi a favore dei singoli, di coppie e di famiglie, prevedevano anche la fornitura di contraccettivi.
Nel prontuario farmaceutico nazionale di allora i contraccettivi ormonali erano inseriti in classe B tra i farmaci utili, ma rimborsati al 50% del prezzo al pubblico. Da allora l’accesso alla contraccezione non è migliorato, né quando fu abolita la classe B, né quando, nel luglio 2016 alcune determine AIFA tolsero la rimborsabilità alle poche rimaste in classe A.
Oggi nessun contraccettivo è rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale. Alla non rimborsabilità và aggiunta la mancanza di una informazione indipendente e la carente formazione degli operatori su questo argomento. Pesano alcuni aspetti ideologici che tendono a puntare l’attenzione su aborto e fertilità senza fornire alle persone gli strumenti per poter decidere su sessualità e riproduzione.

QUALI SONO I CONTRACCETTIVI EFFICACI E QUALI QUELLI ESSENZIALI
In accordo con i documenti prodotti dall’OMS:
• i più efficaci sono le sterilizzazioni, i dispositivi intra-uterini e gli impianti sottocutanei;
• molto efficaci, ma da usare con attenzione l’amenorrea da allattamento, le pillole e le iniezioni ormonali;
• efficaci, i metodi di astinenza periodica poco affidabili e i preservativi che rappresentano l’unico metodo efficace per prevenire sia la gravidanza sia le malattie sessualmente trasmissibili, compreso HIV.
La lista dei medicinali essenziali dell’OMS (2017) riporta una scelta ampia, ma con qualche esclusione significativa e con qualche differenza riguardo ai prodotti disponibili in Italia (box 1).
Nella lista dell’OMS sono presenti solo le pillole di seconda generazione. Questa scelta è conseguente al minor rischio di seppur rare complicanze trombo-emboliche, verificato anche in sede di autorità europea (PRAC-EMA) nel 2014 dopo approfondita valutazione delle evidenze disponibili. Per quanto riguarda le pillole progestiniche sono presenti quelle con levonorgestrel e non quelle con desogestrel, che sono più costose, e le sole disponibili in Italia.
Ci sono anelli con progesterone e iniezioni estro-progestiniche non disponibili in Italia, mentre le iniezioni di medrossiprogesterone acetato sono disponibili, ma senza indicazione per la contraccezione. Non sono previsti anelli e cerotti con estroprogestinici.
L’OMS fornisce anche altri strumenti per facilitare la scelta migliore per le diverse situazioni. Uno di questi è il documento “Criteri medici per la contraccezione”, rivolto ai medici prescrittori per orientare le donne con qualche patologia a scegliere i contraccetivi più sicuri.



Tenendo contro di queste differenze e tenendo conto delle osservazioni di un gruppo multidisciplinare di recente costituzione (Comitato per la contraccezione gratuita e consapevole), e dopo aver raccolto le adesioni di 63 mila cittadine/i sulla piattaforma change.org, abbiamo avanzato ad AIFA e Ministero della Salute alcune richieste di adeguamento alle indicazioni del documento dell’OMS.
Pur valutando positivamente l’apertura di alcune regioni alla gratuità nei consultori, riteniamo più giusto e pratico che i contraccettivi essenziali (farmaci e dispositivi) siano distribuiti gratuitamente da tutte le farmacie, dietro presentazione di ricetta medica, a tutte le donne che ne hanno bisogno e su tutto il territorio nazionale. Per i preservativi invece possiamo ipotizzare canali diversi.
Abbiamo aggiunto anelli e cerotti estroprogestinici disponibili in Italia e utili per chi non gradisce o dimentica la pillola giornaliera. Abbiamo previsto per il dispositivo Mirena® la gratuità per i casi di metrorragia (nota A) rimarcando l’effetto terapeutico di tale metodo per questa patologia non infrequente specie nelle donne meno giovani.
Mirena® è costosa, come lo sono gli altri dispositivi medicati ora disponibili (Jaydess® e Kyleena®) che generalmente riducono quantità e durata delle mestruazioni pur non evitando fastidiosi episodi di lievi perdite vaginali.
La spirale al rame è ancora valida e gradita, motivo per cui riteniamo che almeno quest’ultima sia gratuita.
Le nostre richieste ricalcano in gran parte le scelte della lista dei “medicamenti essenziali” OMS, privilegiando le pillole di seconda generazione (box 2).



La distribuzione gratuita dei preservativi (maschile e femminile) dovrebbe avvenire nei luoghi di aggregazione giovanile e in particolare nei consultori, sia per avvicinare i giovani ai consultori, che per evitare sprechi e dispersioni.
I consultori dovrebbero essere potenziati per le varie funzioni che svolgono, compresa la consulenza per la scelta del contraccettivo migliore. La scelta deve essere libera da considerazioni economiche, ma anche informata da un colloquio con le ostetriche e con il ginecologo presente per la prescrizione dei contraccettivi e per l’applicazione dei dispositivi.
I membri del Comitato per la contraccezione
gratuita e consapevole: Donatella Albini, Karin Louise Andersson, Emilio Arisi, Lisa Canitano, Gabriella Cappiello, Arturo Fabra, Daniela Fantini, Barbara Grandi, Mirella Parachini, Anna Pompili, Violetta Plotegher, Pietro Puzzi, Giovanna Scassellati, Federica Scrimin, Marina Toschi, Silvia Von Wunster (ginecologi); Anna Fracassi, Carla Oliva, Rosanna Sestito (ostetriche); Adriano Cattaneo, Michele Grandolfo (epidemiologi); Andrea Gardini (pediatra); Maria Font (farmacista); Eleonora Cirant, Cristina Valsecchi (giornaliste)

Nel mese di ottobre, in Commissione Affari Sociali il sottosegretario Armando Bartolazzi ha reso noto che Aifa ha in corso “un approfondimento, finalizzato ad individuare i farmaci anticoncezionali caratterizzati dal miglior profilo beneficio/rischio da ammettere alla rimborsabilità, al fine di garantirne un equo accesso”.
Nel frattempo, ci sono Amministrazioni sanitarie regionali che hanno compiuto concreti passi nella direzione auspicata dal Comitato per la contraccezione gratuita e consapevole. Tra queste la Regione Emilia Romagna approvando la Delibera n.1722 del 6 novembre 2017 “Indicazioni operative alle Aziende sanitarie per la preservazione della fertilità e la promozione della salute sessuale, relazionale e riproduttiva degli adolescenti e giovani adulti”, che prevede l’accesso gratuito alla contraccezione farmacologica nell’ambito dei servizi forniti dai consultori, per tutte le donne e gli uomini di età inferiore ai 26 anni, e per le donne di età compresa tra i 26 e i 45 anni, titolari di esenzione classificata come E02 (disoccupazione) o E99 (lavoratrici colpite dalla crisi), nei 24 mesi successivi ad un’interruzione volontaria di gravidanza e nei 12 mesi dopo il parto.
E queste le azioni previste:
– potenziare i servizi aziendali e i percorsi assistenziali consultoriali per l’educazione alla salute sessuale e riproduttiva, per la contraccezione e per la prevenzione delle Ivg e delle Mst;
– potenziare i programmi aziendali per l’educazione alla salute e l’educazione sessuale nelle scuole, le campagne informative per la prevenzione delle Mst e dell’Hiv;
– potenziare i servizi dei consultori dedicati ai giovani, garantendo, almeno nei consultori principali: accesso diretto; orario di apertura ampio, e comunque tale da facilitare l’accesso ai servizi per la contraccezione; la presenza dell’équipe professionale (ginecologo, ostetrica, psicologo e assistente sociale); la formazione e l’aggiornamento periodico dei professionisti per l’acquisizione delle competenze necessarie all’accoglienza dei ragazzi;
– garantire alla popolazione target l’erogazione gratuita dei seguenti metodi contraccettivi: spermicidi, contraccezione sottocute, IUD (spirale), metodi di barriera, pillola estroprogestinica, cerotto transdermico, anello contraccettivo, contraccezione di emergenza (la cosiddetta “pillola del giorno dopo”, entro le 78 ore);
– garantire la distribuzione dei metodi contraccettivi individuati attraverso: i consultori e gli ambulatori ostetrico-ginecologici delle zone distretto, secondo i percorsi assistenziali per la contraccezione e per la tutela della salute sessuale e riproduttiva; la rete delle farmacie di continuità, dietro presentazione di prescrizione medica o piano terapeutico di durata annuale;
– garantire la disponibilità dei farmaci necessari alla contraccezione di emergenza (entro le 78 ore) nei consultori e nei Pronto soccorso della Regione Emilia-Romagna, secondo specifico percorso aziendale;
– dare adeguata informazione di tutto quanto sopra, sui criteri e le modalità di accesso all’erogazione gratuita dei contraccettivi, sugli orari di apertura dei consultori, dei servizi aziendali e delle farmacie di continuità, degli ospedali in cui saranno disponibili i contraccettivi”.
Questa la popolazione target a cui sono rivolti gli interventi:
– giovani dai 14 ai 25 anni;
– donne tra i 26 e i 45 anni, con codice di esenzione E02, E90, E91, E92, E93 o con fascia economica ERA/EIA;
– donne tra i 26 e i 45 anni che abbiano scelto la contraccezione nel puerperio e comunque entro 12 mesi dal parto, oppure a seguito di una interruzione della gravidanza, comunque entro 24 mesi dall’intervento.
Red.




#quota100
Quota 100 non solo per l’uscita dal mondo del lavoro, ma anche per entrarci con diritto ed equità!


In questo periodo si parla molto di quota 100 (somma tra età anagrafica e anni di contributi lavorativi) come possibile soglia per consentire l’uscita anticipata dal mondo del lavoro. Ma la “quota 100” potrebbe, e dovrebbe, essere anche un indicatore di inclusione e di garanzia di diritti, ancor più essenziale nell’età pediatrica e in adolescenza.
Pubblichiamo di seguito 6 messaggi riguardanti l’iniziativa #quota100, intrapresa dal Laboratorio per la Salute Materno Infantile, per sensibilizzare istituzioni e cittadini su alcuni dei bisogni/diritti ancora inevasi in età evolutiva. Red.












Il Laboratorio per la Salute Materno Infantile del Negri si fa promotore di una campagna social denominata #quota100.
Nessun passaggio in TV, solo grafici, solo qualche post facebook e twitter con sintetici commenti a dati significativi della situazione materno-infantile in Italia.
Il laboratorio è certamente tenuto in piedi da gente che ha qualche diritto ad essere ascoltata anche dai potenti d’Italia. Ovviamente tutti annuiranno e condivideranno, ma i fatti? A quando? Su un solo dato (situazione asilo nido nel sud d’Italia) possibile che davvero non ci si possa mettere d’accordo in modo trasversale come priorità da affrontare subito e tutti insieme? Il dato degli asilo nido è oggi efficacemente stigmatizzato nella campagna del Negri con un grafico che riguarda la Campania (ma tutte le regioni del Sud hanno dati simili). Non si tratta di una “semplice” occasione occupazionale, la cosa più importante è un’altra: il futuro neuroevolutivo dei nostri bambini è nelle possibilità di interazione che ormai solo gli asilo nido possono offrire, dal momento che le famiglie sono in ginocchio (per vari motivi). Come funziona la faccenda del debito se si investe in strutture come queste? E i progetti di sostegno a questa iniziativa verrebbero davvero conteggiati col segno meno dall’Europa “cattiva”? Servirebbe infatti un grande sforzo educativo finalizzato alla preparazione degli operatori e alla diffusione di massa delle tipologie di interazione che favoriscono lo sviluppo neuroevolutivo e altrettanta attenzione alla diffusione delle conoscenze circa le interazioni che hanno risvolti pesantemente negativi sul futuro dei nostri bambini.
Perché temi come questo restano sempre fuori dall’agenda politica vera (quella delle decisioni)?
Salvo Fedele
Pediatra di Libera Scelta, Palermo
sf.webm@gmail.com

Campagna a cura del Laboratorio per la Salute Materno Infantile
Dipartimento di Salute Pubblica, Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, Milano
www.marionegri.it/it_IT/home/research/dipartimenti/salute_ pubblica/salute_materno_infantile/quota100
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NASCITA
(NAscere e creSCere in ITAlia)

Lo sviluppo in salute dei bambini nei primi anni di vita dipende dalla “nurturing care” che garantisce un buono stato di salute, un’alimentazione adeguata, un atteggiamento genitoriale “responsivo”, protezione e sicurezza e opportunità di apprendimento precoce. I primi anni di vita sono caratterizzati da uno sviluppo fisico, motorio, cognitivo e relazionale estremamente rapido, che influenza in gran parte lo stato di salute e di benessere nel corso della vita. L’individuazione dei fattori di rischio modificabili e di fattori prognostici in periodi critici dell’esistenza può contribuire allo sviluppo di strategie efficaci di prevenzione e di intervento. A questo riguardo, gli studi longitudinali sulle coorti di nascita ( birth cohort sudies) rappresentano lo strumento metodologico più appropriato per valutare l’impatto di determinanti pre/peri/post-natali sullo sviluppo e la salute dei bambini.
Le esperienze condotte fino a oggi in Italia riguardano campioni di numerosità limitata, in specifici contesti geografici o per specifiche condizioni sanitarie. Manca, invece, un’iniziativa multiosservazionale e rappresentativa della realtà italiana. NASCITA (
NAscere e creSCere in ITAlia) https://coortenascita.marionegri.it/ è una risposta per far fronte a questa mancanza: costituire una miniera (database) di informazioni sullo stato di salute nel tempo, sin dalla nascita, di molti bambini. Lo scopo è monitorare, con un approccio osservazionale prospettico, lo sviluppo fisico/cognitivo/psicologico, lo stato di salute e benessere di una coorte di nuovi nati nel corso dei primi 6 anni di età e di valutare i potenziali fattori (determinanti) che possono influenzarli.
L’obiettivo atteso è di coinvolgere una coorte di almeno 13.000 nuovi nati (e le loro famiglie) a partire dal marzo 2019, in 23 cluster geografici rappresentativi della realtà italiana (nord/centro/ sud, urbano/rurale,montagna/ pianura/mare, metropoli), con il supporto di almeno 230 pediatri di famiglia (ma confidiamo in molti di più).
L’arruolamento dei bambini avverrà nel corso della prima visita effettuata dal pediatra di famiglia entro i primi 45 giorni di vita.
I dati raccolti nel corso delle 7 visite dei bilanci di salute previste nei primi 6 anni di vita dai pediatri di famiglia partecipanti saranno inseriti in una scheda di raccolta dati elettronica (web-based). Inoltre, saranno raccolti i dati riguardanti tutti i contatti tra il pediatra e il bambino/la famiglia (p. es. visite in ambulatorio e domiciliari, consulti telefonici, trasmissioni di informazioni relative a visite specialistiche, ospedalizzazioni). Si tratta, quindi, prevalentemente di “dati correnti” che (in questo caso in modo sistematico omogeneo per tutti i partecipanti: a livello nazionale) il pediatra di famiglia raccoglie nella sua attività clinica, di advocacy e presa in carico del bambino. Tra gli altri, saranno valutati la crescita staturo-ponderale, lo sviluppo psicomotorio, i percorsi educativi/di socializzazione, l’alimentazione (p.es. durata dell’allattamento al seno, età e modalità di svezzamento…), le vaccinazioni effettuate, eventuali malattie (in particolare le condizioni di cronicità), la prescrizione di farmaci, visite specialistiche ed esami diagnostici, gli accessi in Pronto Soccorso e i ricoveri ospedalieri. L’analisi dei dati valuterà eventuali associazioni tra determinanti prenatali, contesto di vita (ambiente), alimentazione, buone pratiche genitoriali, opportunità di apprendimento precoce e di socializzazione e l’incidenza di eventi avversi intesi come malattie croniche, sovrappeso/obesità, disturbi dello sviluppo cognitivo/psicomotorio.
Lo studio sarà coordinato dal Laboratorio per la Salute Materno Infantile dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, Milano, in collaborazione con l’Associazione Culturale Pediatri (ACP) e sarà monitorato da un comitato scientifico indipendente e multidisciplinare, rappresentativo di differenti competenze e professionalità e con il coinvolgimento di cittadini e genitori. Ai fini organizzativi, sono stati individuati 23 referenti allo scopo di fungere da coordinatori locali e da tramite fra i pediatri partecipanti e il centro di coordinamento.
La raccolta e l’analisi dei dati da parte dei ricercatori dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS avverranno in forma criptata anonimizzata (ogni bambino sarà identificato da un codice alfanumerico anonimo) e i ricercatori non avranno accesso all’identità dei bambini e dei genitori partecipanti. Ai genitori sarà richiesto il consenso a che i dati raccolti dal pediatra di famiglia confluiscano in forma codificata (non risalibile all’identificazione del proprio figlio) in un contenitore (database) nazionale per consentire l’analisi e lo studio dello stato di salute dei bambini in Italia.
Antonio Clavenna, Maurizio Bonati
Laboratorio per la Salute Materno Infantile,
Dipartimento di Salute Pubblica,
Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, Milano
coortenascita@marionegri.it
Federica Zanetto
Presidente, Associazione Culturale Pediatri