Impatto sulla salute dell’insicurezza
quanto al mantenimento del posto di lavoro
Gianfranco Domenighetti
Economista e sociologo
Università della Svizzera Italiana
gianfranco.domenighetti@usi.ch


ABSTRACT
Job insecurity and its impact on health
This paper looks at the health and social consequences of “job insecurity” (the subjective and/or objective fear of losing one’s current job), a relatively unexplored phenomenon which may involve between 14 and 42% of workers, depending on whether the economy is in a period of expansion or recession. For many, this phenomenon precedes the entry phase of unemployment. The impact on health of this condition is significant and many authors consider it even more important than unemployment itself. This brief review of the scientific literature suggests that the emotions related to job insecurity cause significantly high level of stress, depressive symptoms, musculo-skeletal problems, cardiovascular morbidity and related mortality, etc. Furthermore, work-based relationships with colleagues and superiors, self-esteem, family relationships, and sexuality as well, can be negatively affected. The size of the risks associated with these factors is strongly associated with the duration of the period of uncertainty and with how it is endured by the individual, as these will directly influence the occurrence and intensity of the stress perceived by the worker. The review also suggests that employees with high levels of education have greater difficulty in coping with job insecurity. In fact, investing in career and personal expectations is generally considered more important among highly educated people; this could more easily result in feelings of lack of achievement. There is no doubt that the major determinants of health lie, as they always have, in the social and economic environment; any remedial measures can therefore only be established within the same context.
Key words. Job security | work | health | quality of life | social determinants of health.

RIASSUNTO
Questo contributo analizza l’impatto socio-sanitario dell’insicurezza lavorativa, fenomeno poco esplorato, che può tuttavia coinvolgere, a seconda del periodo di espansione o recessione economica e del settore di attività, tra il 14 e il 42% dei lavoratori e che, per molti di essi, precede l’entrata della fase di disoccupazione. L’impatto sulla salute di questa condizione di insicurezza lavorativa è significativo e molti autori lo ritengono più importante di quello attribuito alla disoccupazione. Questa breve rassegna della letteratura scientifica mostra che la situazione di incertezza quanto al mantenimento del posto di lavoro aumenta significativamente il livello di stress, gli stati depressivi, il consumo di farmaci psicotropici, i problemi muscolo-scheletrici, i problemi cardiovascolari e la mortalità concomitante. Inoltre deteriora significativamente le relazioni lavorative verso i colleghi e i superiori, la stima di sé, le relazioni all’interno della famiglia e il desiderio sessuale. L’analisi mostra che i lavoratori con alto livello educativo risultano essere quelli che con più difficoltà riescono a gestire lo stress e le conseguenze sanitarie dell’insicurezza lavorativa e ciò in considerazione della posizione e remunerazione acquisite e delle prospettive di carriera professionale che rischiano di essere vanificate. L’importanza dei rischi legati a questi fattori è strettamente associata alla durata e all’oggettività della situazione d’incertezza che influenzerà direttamente la prevalenza e l’intensità dello stress soggettivamente percepito da ogni impiegato. Questa revisione mostra che i principali determinanti della salute sono, e sono sempre stati, di tipo economico e sociale e che i rimedi non potranno quindi essere che economici e sociali.
Parole chiave. Insicurezza lavorativa | impatto sulla salute | effetti avversi | determinanti sociali ed economici della salute.


PREMESSA
Questo contributo analizza un fenomeno poco esplorato, anche se d’importanza epidemiologica e sociale, quello cioè dell’impatto sulla salute dell’insicurezza percepita dai lavoratori quanto al mantenimento del proprio posto di lavoro (di seguito “insicurezza lavorativa” oppure “job insecurity”). Questa situazione può coinvolgere a seconda del periodo di espansione o recessione economica, del settore e dell’azienda di occupazione tra il 14 e il 42% dei lavoratori 1 e, per molti di essi, precede l’entrata della fase di disoccupazione. Diversi autori hanno definito l’insicurezza lavorativa come una “impotenza percepita a mantenere la desiderata continuità in una situazione di lavoro minacciato”2 oppure come “una preoccupazione generale per il futuro circa l’esistenza del proprio posto di lavoro”3 ed infine “come la minaccia della perdita del lavoro e le preoccupazioni relative a tale nuova condizione”4. La “job insecurity” si situa quindi tra l’avere una attività lavorativa e la disoccupazione. La sua percezione varia tra il “soggettivo” e l’”oggettivo” a seconda della concretezza della minaccia di perdere il posto di lavoro. L’impatto sulla salute di questa condizione è significativo e molti autori lo ritengono più importante di quello attribuito alla disoccupazione.

I DETERMINANTI SOCIO-PROFESSIONALI DELLA SALUTE
Il benessere sanitario individuale e collettivo dipende soprattutto da fattori che, generalmente, sono percepiti dalla popolazione come aventi poca o nessuna influenza sulla quantità e sulla qualità di vita degli individui e dei gruppi. Questi fattori sono: la condizione socio-economica, l’ambiente (ecosistema), il patrimonio genetico e la possibilità di beneficiare di un accesso equo ad un sistema sanitario “universale”. 
Il contributo relativo di ognuno di questi fattori alla longevità (probabilità di raggiungere i 75 anni di età) è stato valutato da parecchi autori5,6. Ad esempio l’importanza del contributo del settore medico-sanitario è stata stimata al 10-15%, quella del patrimonio genetico al 20%, quella dell’ecosistema al 20-25%, mentre il contributo dei fattori socio-economici, di gran lunga i più importanti, sono stati stimati al 45-50%. Gli studi sulla mortalità secondo la classe socio-professionale confermano l’importanza maggiore della condizione socio-economica sulla quantità (longevità) e sulla qualità di vita. La sopravvivenza dei passeggeri, quando naufragò il Titanic, era positivamente correlata con la classe d’imbarco (prima classe: 60% di sopravvissuti, seconda classe: 42%, terza classe: 32%).
Allo stesso modo, gli operai meno qualificati hanno nei paesi industrializzati che dispongono di un accesso equo ed universale ai servizi medico-sanitari una speranza di vita mediamente inferiore di circa cinque anni a quella dei lavoratori delle classi socio-professionali più favorite. L’importanza dei determinanti socio-economici è dimostrata in questo caso dal fatto che in questi paesi tutti possono accedere, senza alcuna barriera di tipo economico, a qualsiasi servizio medico-sanitario. Ne consegue che tali diseguaglianze sono dovute a fattori esogeni al mero accesso ai servizi sanitari identificate nelle differenze di statuto e di condizione socio-professionale ed economica fra gli individui. Sono infatti queste condizioni sociali che influenzano gli stili di vita, gli atteggiamenti e i comportamenti, il livello di padronanza e la capacità di “controllo” del proprio ambiente di vita e di lavoro, il livello di stress individuale, il fatto di essere più o meno esposti a rischi fisici, biologici, chimici o psicosociali, il fatto di abitare in un quartiere di buona qualità e in una casa salubre oppure no, il tempo di cui si può disporre per lo sviluppo della propria creatività, ecc.

LAVORO E CONDIZIONE SOCIO-ECONOMICA
Nelle nostre società, il lavoro è il determinante principale della classe socio-economica alla quale apparteniamo. Infatti, il ruolo e lo statuto di un individuo nella società, come pure la sua rimunerazione e l’ammontare della sua fortuna economica, sono definiti dal tipo di attività professionale e dalla funzione esercitata.
Il lavoro non è solamente il fattore principale d’integrazione sociale poiché permette un rapporto dialettico “fecondo” fra l’individuo e il “resto del mondo”, bensì anche, come vedremo, di benessere sanitario. Tuttavia, affinché tutti questi effetti desiderati possano diventare realtà, è necessario che il lavoro adempia almeno ad alcune condizioni minime: deve essere ragionevolmente stabile, equamente retribuito, sufficientemente interessante e svolto in condizioni che rispettino la salute, la sicurezza e la dignità della persona.
Il processo di globalizzazione dell’economia iniziato una ventina di anni or sono con la caduta del muro di Berlino e, più recentemente, l’impatto della crisi finanziaria sull’economia reale, sembra abbiano posto una pesante ipoteca quanto al rispetto di queste condizioni minime. “La globalizzazione ha costretto le aziende a rendersi più flessibili, mentre il passaggio da produzione di beni a produzione di servizi ha messo in discussione la stabilità delle stesse; le recessioni economiche hanno introdotto periodi di chiusura del mercato e conseguente mancanza di impiego; infine, l’evoluzione tecnologica ha ristretto il campo di alternative per i lavoratori non dotati delle abilità adeguate. Tale spinta alla competizione si traduce in un tentativo di ridurre il costo del lavoro, per cui spesso le aziende si trovano ad utilizzare un principio di flessibilità per adattarsi ai cambiamenti lavorativi. I processi di downsizing appaiono come la soluzione standard per migliorare l’efficienza e ridurre i costi”7.

PAURA DI PERDERE IL POSTO DI LAVORO E SALUTE
Fra i rischi psicosociali o cosiddetti “nuovi rischi” legati allo svolgimento di un’attività lavorativa, è vieppiù da includere la paura di perdere il posto di lavoro e di trovarsi in uno stato di disoccupazione.
Da un punto di vista “soggettivo” e probabilmente anche “oggettivo”, questo rischio rappresenta per la maggior parte dei lavoratori dipendenti “il peggiore” evento indesiderato che possa loro capitare, specialmente in periodi difficili e di “non crescita” economica. Infatti, perdere il proprio lavoro, in particolare dopo i 40 anni, come pure non trovare un posto di lavoro per le giovani generazioni, molto spesso può significare la perdita della capacità di programmare il proprio futuro o scendere sotto la soglia di povertà.
Questo rischio, alle nostre latitudini e stante la cronica situazione di “non crescita” economica, sembra destinato ad aumentare e a perdurare nel tempo. Le previsioni più ottimiste vedevano il picco della disoccupazione alla fine del 2013, quelle più pessimiste dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIT) valutano, sulla base dell’esperienza acquisita durante le precedenti crisi, che bisognerà aspettare 4 o 5 anni dopo la ripresa economica per assistere ad una ripresa dell’impiego e dell’occupazione. Inoltre si sa che ogni crisi lascia sul terreno un “surplus” di disoccupati che non saranno più riassorbiti dal mercato del lavoro.
Ora, nell’Europa dei 15, la prevalenza dei lavoratori dipendenti che hanno paura di perdere il posto di lavoro era compresa tra il 10 e il 25% secondo un sondaggio di Gallup International condotto nel novembre 2008. Uno studio più recente tra i lavoratori maschi1 condotto in 16 paesi europei stimava tale prevalenza tra il 14 e il 42% (Italia 28%).

INSICUREZZA LAVORATIVA E IMPATTO SULLA SALUTE:
UNA RASSEGNA DELLA LETTERATURA SCIENTIFICA
La letteratura scientifica internazionale, quindi la ricerca, ha iniziato ad occuparsi a partire dagli anni ‘80 dell’impatto sanitario della paura di perdere il lavoro in particolare presso i lavoratori che beneficiavano di contratti di lavoro a tempo indeterminato. Diamo qui di seguito, sulla base delle revisioni della letteratura di Ferrie8 e di Sverke9 nonché di alcune altre ricerche, i principali ambiti sui quali ci si deve attendere un effetto significativo sulla salute dei lavoratori a causa dell’insicurezza di poter mantenere il posto di lavoro fin qui stabilmente occupato. È importante sottolineare, anche se intuitivamente atteso, come l’impatto sanitario dell’insicurezza sia particolarmente significativo e importante sui lavoratori a tempo indeterminato mentre lo è di meno tra coloro che svolgono attività temporanee con contratti a termine o a tempo determinato10.

Impatto sulla morbilità psichica
Numerosi studi hanno valutato l’impatto dell’insicurezza sulla salute psichica e tutti hanno documentato una prevalenza significativa degli effetti negativi (e in particolare un aumento della depressione, dell’insonnia, del consumo di farmaci psicotropici) presso i lavoratori che hanno paura di perdere il posto di lavoro rispetto agli altri. La “robustezza” dell’associazione fra i livelli di insicurezza percepiti e l’aumento degli effetti sulla salute è stata dimostrata dalla relazione “dose-risposta” e dagli studi longitudinali che hanno evidenziato che i sintomi scomparivano allorquando la situazione d’insicurezza scompariva.
Uno studio fra gli impiegati svizzeri sul grado di insicurezza quanto al mantenimento dell’impiego e l’associazione con lo stato di salute11 ha segnatamente messo in evidenza:
a. che il livello di paura era significativamente associato ad uno stato di salute meno buono per sette indicatori su dieci,
b. che tra le persone che temevano di perdere il lavoro, rispetto a quelle che non avevano nessuna paura, la prevalenza di coloro che denunciavano un alto livello di stress era del 60% più elevata, quella di coloro che avevano di sé stessi un basso livello di stima del 190% superiore, i sofferenti regolari d’insonnia erano il 60% in più ed infine i consumatori giornalieri di farmaci psicotropi del 110% superiore.
Tra i soggetti che percepivano un elevato grado di insicurezza quelli che beneficiavano di un alto livello di formazione scolastica denunciavano i peggiori indicatori di salute psichica (alto livello di stress +110%; basso livello di stima di sé +620%; consumo di farmaci psicotropi +220% rispetto a coloro con un basso livello educativo). Ciò sembra evidenziare come questo gruppo abbia maggiori difficoltà a gestire lo stress legato all’insicurezza di mantenere il lavoro poiché, probabilmente, composto da lavoratori che hanno più degli altri investito in una carriera professionale che corre il rischio di scomparire.
Questi risultati erano confermati da un altro studio svizzero condotto tra gli impiegati di banca quando questo settore era oggetto di ristrutturazioni economiche importanti e soppressione di posti di lavoro12.
Per quanto attiene l’impatto tra l’insicurezza di mantenere il lavoro e la prevalenza del suicidio nessuno studio appropriato ha valutato la causalità di questa possibile relazione. È solamente dopo la perdita del posto di lavoro e l’entrata in disoccupazione che questa problematica sembra diventare pertinente; parecchi studi epidemiologici l’hanno valutata e hanno mostrato un raddoppio del rischio di suicidio fra i disoccupati13,14 in particolare nei primi cinque anni di disoccupazione15 e nei paesi con la maggior prevalenza di disoccupati16.

Impatto sulla salute fisica
Impatto sulla salute auto-valutata
Come per la morbilità fisica la letteratura internazionale mostra, senza alcuna sorpresa, una relazione “dose-risposta” positiva fra il livello di paura di perdere il posto di lavoro e la salute auto-valutata8,9.
Per la Svizzera un’analisi dell’Ufficio Federale di Statistica ha mostrato che la prevalenza di un indicatore sintetico di “problemi fisici importanti” era associata positivamente ai livelli di paura di perdere l’impiego (nessuna paura = 17%; piuttosto no = 20%; sì abbastanza = 27%; sì molta = 37%). Anche gli studi svizzeri citati precedentemente mostrano che, fra le persone che temono di perdere il lavoro, la prevalenza di un cattivo stato di salute era del 60% più elevata e quella dei dolori regolari alla schiena del +100% rispetto a quelli che non temevano assolutamente di perdere l’impiego 11.
Anche fra gli impiegati di banca sottoposti allo stress dell’insicurezza per quel che concerne il mantenimento dell’impiego12, il 39% denunciava un cattivo stato di salute (versus 17% rispetto ai lavoratori di altri settori senza timore di perdere l’impiego), il 29% dolori regolari alla schiena (versus 16%), il 69% dolori alle articolazioni (versus 22%) e il 28% irritazioni agli occhi (versus 10%).

Impatto sui parametri fisiologici
Una quindicina di studi hanno valutato l’impatto dell’insicurezza al lavoro su diversi parametri fisiologici. Si è constatato soprattutto l’aumento della pressione arteriosa17,18 e, in due studi, l’aumento del tasso di colesterolo19 come pure del BMI (Body Mass Index).
È interessante constatare che lo stress conseguente all’insicurezza al lavoro influenza soprattutto negativamente parametri che sono fattori di rischio delle malattie cardiovascolari20.

Impatto sulle malattie e la mortalità cardiovascolare
È riconosciuto che un alto livello di stress cronico sul lavoro, segnatamente se accompagnato da una debole padronanza dell’ambiente professionale, è associato in modo indipendente ad un aumento del rischio cardiovascolare21 come pure ad una probabilità doppia di avere un secondo infarto22. Uno studio di referenza23 ha analizzato l’effetto delle ristrutturazioni organizzative sulla mortalità cardiovascolare degli impiegati che sono sopravissuti al licenziamento dopo aver passato un periodo di alto livello di stress dovuto alla paura di un licenziamento. Fra questi impiegati la mortalità cardiovascolare è raddoppiata rispetto ai lavoratori di imprese dello stesso settore che non sono stati oggetto di ristrutturazioni con conseguente riduzione di personale. È interessante notare come l’insicurezza non sembra avere un impatto negativo su alcuni fattori di rischio “classici” delle malattie cardiovascolari quali il consumo di tabacco e l’inattività fisica. Tali comportamenti, unitamente all’abuso di bevande alcoliche, peggiorano invece significativamente allorquando si diventa disoccupati 24,25.

Altri impatti dell’insicurezza
I due studi svizzeri precedentemente citati11,12 hanno mostrato che una prevalenza significativamente elevata (53%) di lavoratori aventi un alto grado di paura di perdere l’impiego ha rinunciato a consultare un medico per non assentarsi dal posto di lavoro (versus 10% per quelli che non avevano nessun timore). Questo risultato significa probabilmente che in una situazione di “job insecurity” gli impiegati non vogliono essere identificati come soggetti “deboli” con problemi di salute il che potrebbe metterli a maggior rischio di licenziamento.
Come ci si poteva aspettare l’impatto dell’insicurezza influenza anche il quadro famigliare con una ricaduta significativa delle tensioni all’interno della famiglia8,26.
Un recente studio27 ha mostrato che un aumento della paura di perdere il posto di lavoro è associato ad una diminuzione significativa del desiderio sessuale per gli impiegati tra i 20 e i 49 anni.

Riassumendo
Questa breve rassegna della letteratura scientifica mostra che la situazione di stress provocata dall’insicurezza al lavoro e segnatamente dall’incertezza quanto al mantenimento nel futuro del posto di lavoro finora occupato:
aumenta significativamente il livello di stress, gli stati depressivi, i problemi del sonno, il consumo di farmaci psicotropici, un’auto-valutazione negativa dello stato di salute, il mal di schiena, i dolori alle articolazioni, l’irritazione agli occhi, l’ipertensione, il tasso di colesterolo, il peso (BMI), i problemi cardiovascolari, la probabilità di avere un secondo infarto e la mortalità cardiovascolare;
deteriora significativamente la soddisfazione verso il lavoro, le relazioni con i colleghi e i superiori, la stima di sé, le relazioni all’interno della famiglia e il desiderio sessuale;
inoltre, le persone aventi problemi di salute esacerbati dalla paura di perdere l’impiego rinunciano ad assentarsi dal lavoro per consultare un medico, per limitare il rischio di essere identificati come persone “fragili” e quindi designate, prima di altre, a subire le conseguenze delle ristrutturazioni e delle pratiche di downsizing organizzativo;
infine, i lavoratori con alto livello educativo risultano essere quelli che con più difficoltà riescono a gestire lo stress e le conseguenze sanitarie dell’insicurezza lavorativa e ciò in considerazione della posizione e remunerazione acquisite e delle prospettive di carriera professionale che rischiano di essere vanificate.

L’importanza dei rischi legati a questi fattori è strettamente associata alla durata e all’oggettività della situazione d’incertezza che influenzerà direttamente la prevalenza e l’intensità dello stress soggettivamente percepito da ogni impiegato.

CONCLUSIONI
Una conclusione generale e politica si impone, cioè che i principali determinanti della salute sono, e sono sempre stati, di tipo economico e sociale e che i rimedi non potranno quindi che essere economici e sociali. Il modello biomedico che è alla base dell’eziologia delle malattie ha molto probabilmente distratto i “preventologi” dall’implementare azioni e interventi fondati sulle vere priorità di salute pubblica. Infatti, le evidenze desunte dalla ricerca epidemiologica e sociologica mostrano che sono i fattori al di fuori del controllo individuale (socioeconomici, legali, ambientali) che influenzano i rischi ergonomici, chimici, biologici e psicosociali ai quali gli individui sono esposti. Oggi ancora gli interventi di prevenzione primaria si limitano a promuovere modifiche degli “stili di vita” e dei comportamenti individuali, il che d’altronde è più semplice e meno conflittuale che promuovere interventi che mirino a cambiamenti di tipo economico e sociale. L’accento posto sugli “stili di vita” ha portato all’implementazione di interventi di salute pubblica per la maggior parte inefficaci poiché oggettivamente inapplicabili alle classi sociali meno favorite. Queste ultime venivano in realtà indirettamente colpevolizzate poiché ritenute responsabili di comportamenti la cui causa invece sfuggiva per la maggior parte al loro controllo.
Oggigiorno è l’economia nel suo insieme (nazionale e, soprattutto, mondiale) che funge da datore di lavoro e, nel processo economico, la felicità ed il benessere materiale della mano d’opera rappresentano degli obiettivi necessariamente secondari. Infatti, se si deve operare una scelta fra un imperativo economico (realizzare o massimizzare il profitto) ed un imperativo umano (assicurare la qualità e la sicurezza del posto di lavoro), l’esperienza mostra che a prevalere sarà sempre il primo. Promuovere la salute significa promuovere un nuovo modello di sviluppo economico, sociale e culturale. Abbandonare la misura dei “valori” espressa unicamente in termini monetari, liberarsi dall’ossessione irrazionale della crescita infinita e generalizzata e dalla competizione fine a se stessa, assicurare invece a tutti un reddito sociale minimo garantito, migliorare la redistribuzione dei redditi, umanizzare le condizioni nelle quali è svolto il lavoro coatto, promuovere misure a sostegno della coesione sociale e soprattutto mantenere e adeguare i cosiddetti “ammortizzatori sociali” come un diritto dei cittadini.

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