Le luci e le diverse ombre dei MAPPs

DI COSA PARLIAMO
L’idea di fondo dell’adaptive licensing o, come è stata ribattezzata, adaptive pathways, è che valga la pena – nell’interesse comune dei pazienti, dei servizi sanitari e delle aziende farmaceutiche – spostare una parte delle prove attualmente richieste per l’autorizzazione di un farmaco, in un secondo tempo, quando il farmaco è già in commercio1.
Decidere quali prove considerare sufficienti al momento della commercializzazione di un nuovo farmaco richiede comunque un compromesso fra due obiettivi parzialmente contrastanti: garantire rapidamente farmaci efficaci a coloro che ne possono beneficiare ed evitare di mettere sul mercato farmaci che, a una valutazione più accurata, dimostrino di produrre più danni che benefici.
Inevitabilmente, se si sposta una parte delle prove a dopo l’immissione in commercio, i pazienti corrono più rischi. Il punto che si intende sostenere è che è ragionevole accettare qualche rischio in più per farmaci mirati al trattamento di pazienti oggi privi di una terapia adeguata. Non è invece ragionevole per pazienti che dispongono di trattamenti consolidati.

LE COSE SULLE QUALI CI DOVREBBE ESSERE ACCORDO
Tutta l’attività regolatoria sul farmaco è per definizione adattativa. Le conoscenze di efficacia e sicurezza si modificano durante l’intera vita di un farmaco e di questo si deve ovviamente tenere conto nella pratica clinica e nelle modifiche di indicazioni, controindicazioni, avvertenze, ecc. Basti ricordare i cambiamenti di conoscenze sull’efficacia dell’aspirina o sulle reazioni avverse cardiache legate all’uso della maggior parte degli antiinfiammatori.
Inoltre, ogni decisione regolatoria si basa sull’analisi dell’insieme dell’evidenza scientifica disponibile (dagli studi preclinici alle sperimentazioni cliniche e agli studi osservazionali di sicurezza) e il processo di autorizzazione di un farmaco si adatta per tenere conto delle specificità di ciascuna situazione. Si pensi solo alla differenza di approfondimento richiesto per l’approvazione di un biosimilare rispetto a quanto previsto per un equivalente di un farmaco chimico.
Infine, tutta l’attività regolatoria deve essere disegnata per rispondere al meglio ai pazienti. All’inizio degli anni ‘80, di fronte alle richieste dei malati di Aids di accedere più rapidamente ai farmaci in corso di sperimentazione per il trattamento di una malattia allora incurabile, sono state introdotte alcune deroghe tese a velocizzare il normale iter di approvazione dei farmaci.
Successivamente, sia la Food and Drug Administration (FDA) sia la European Medicines Agency (EMA) hanno introdotto modalità di registrazione più flessibili, che consentono l’immissione in commercio di farmaci il cui profilo rischio-beneficio è solo parzialmente definito. Ad esempio, l’EMA ha adottato la procedura di autorizzazione under exceptional circumstances (www.ema europa.eu/docs/en_GB/document_library/ Regulatory_and_procedural_guideline/2009/10/WC500004883.pdf) qualora la rarità di una condizione clinica renda infattibili le prove di efficacia, tipicamente basate sugli studi comparativi randomizzati, richieste per farmaci indicati in patologie più frequenti. L’EMA ha, inoltre, introdotto una seconda procedura “flessibile”, la conditional marketing authorization, mirata a situazioni nelle quali un farmaco si dimostri estremamente promettente per la cura di una condizione grave e priva di trattamenti adeguati; la procedura prevede che il farmaco possa essere approvato anche sulla base di conoscenze preliminari a patto che continui a essere studiato anche dopo la commercializzazione per verificare che i benefici siano confermati (http://www.ema.europa. eu/docs/en_GB/document_library/Scientific_guideline/2009/10/ WC500004908.pdf).
In entrambi i casi la flessibilità aumenta i margini di incertezza nell’utilizzo dei farmaci, dato che le conoscenze sul profilo rischio-beneficio dipendono dal numero di pazienti studiati. Si accetta, tuttavia, l’incertezza per garantire farmaci nel trattamento delle condizioni cliniche più rare o farmaci che hanno la potenzialità di modificare radicalmente la prognosi di una patologia.

LE CRITICITÀ DEI PERCORSI ADATTATIVI
Nella proposta avanzata in sede EMA1 è esplicito l’obiettivo di modificare il processo di autorizzazione di tutti i farmaci, spostando una parte delle prove adesso richieste prima dell’immissione in commercio alla fase post-autorizzativa. Affinché vi sia un interesse dei pazienti si dovrebbe condividere un principio: i margini di incertezza che siamo disponibili a introdurre possono aumentare in mancanza di alternative terapeutiche o via via che le malattie da trattare diventano più rare, e ovviamente devono ridursi nelle condizioni opposte.
La ragione dovrebbe essere evidente: un’autorizzazione più precoce aumenta inevitabilmente i rischi per i pazienti. A parità di efficacia, o con vantaggi attesi minimi, non c’è ragione di correre un rischio maggiore. Non è nell’interesse dei pazienti e neppure dei sistemi sanitari.
Conosciamo i costi degli errori nell’autorizzazione dei farmaci. A parte i danni diretti per i pazienti, si sa che è complicato tornare indietro – eliminare una indicazione o un’autorizzazione – quando non si confermano i dati preliminari. Basti pensare all’uso di indicatori surrogati poi rivelatisi poco predittivi degli esiti clinici. Inoltre, sono documentate le perplessità dei pazienti (oltre che dei medici) di partecipare a studi clinici nei quali si potrebbe non ricevere il nuovo farmaco, se il farmaco stesso è regolarmente in commercio. Neppure il fatto che alcuni farmaci – ad esempio, le terapie cellulari e le terapie cosiddette custom based – richiedano un’intensa sorveglianza post marketing, soprattutto per gli aspetti di sicurezza, rappresenta una valida ragione per ridurre il livello di evidenza di efficacia accettabile al momento dell’autorizzazione.
Un ultimo punto riguarda i potenziali conflitti di interesse. Fra gli autori dell’articolo di Eichler et al., insieme al Direttore generale dell’EMA e a numerosi suoi dirigenti, ci sono dipendenti di aziende farmaceutiche, rappresentanti di agenzie che svolgono consulenze per le aziende farmaceutiche, e rappresentanti di consorzi che operano in stretto rapporto con le aziende farmaceutiche. Ovviamente, forme di collaborazione fra agenzie regolatorie e aziende sono indispensabili. Tuttavia, l’atteggiamento nei confronti dei conflitti di interesse dovrebbe essere coerente. Non è opportuno che esperti che non possono essere chiamati a fare parte di un organismo regolatorio come l’EMA, a causa dei conflitti di interesse, possano contribuire a definirne le strategie di approvazione dei farmaci. Si possono ovviamente modificare i regolamenti sui conflitti di interesse, ma nel frattempo bisognerebbe applicarli.

CONCLUSIONI
Attualmente, l’approvazione dei farmaci a livello europeo già prevede situazioni nelle quali farmaci per le malattie rare o potenzialmente molto innovativi vengono approvati sulla base di prove di efficacia preliminari o incomplete. Negli altri casi – farmaci non particolarmente innovativi per malattie più frequenti – è invece richiesto di dimostrare con pochi margini di incertezza, al momento dell’approvazione, che il profilo rischio-beneficio sia positivo. Dato questo assetto, è rischioso proporre cambiamenti che spostano alla fase post-autorizzativa la raccolta di una parte delle prove di efficacia, senza avere preliminarmente chiarito cosa non stia funzionando oggi. L’aumento dei rischi per i pazienti che utilizzano i farmaci può essere accettato solo quando l’attesa è di una maggiore efficacia, cioè in presenza di farmaci realmente innovativi, oppure perché la rarità della condizione rende difficile seguire l’iter “normale” degli studi preregistrativi. Senza questo bilanciamento, si rischia una deregolamentazione che non è utile ai pazienti e ai sistemi sanitari.
Giuseppe Traversa
Centro nazionale di epidemiologia
Istituto Superiore di Sanità
giuseppe.traversa@iss.it

Bibliografia
1. Eichler HG, Baird LG, Barker R, et al. From adaptive licensing to adaptive pathways: delivering a flexible life-span approach to bring new drugs to patients. Clin Pharmacol Ther 2015; 97: 234-46.