news & views


Il mio posto nel mondo
Commissione medico legale

25 FEBBRAIO 2016
Visita medico legale per il collocamento mirato. Nel gergo la commissione per la legge 68.
Si esprime una valutazione sul candidato per una sua impiegabilità, sul fatto che possa essere inserito nelle liste di collocamento mirato a cui le aziende sopra un certo numero di addetti devono attingere per assolvere gli obblighi di legge. La grandissima parte delle aziende preferisce scegliere in queste liste coloro che hanno problemi molto ben confinati e che riguardano aspetti fisici, meglio se non comportano alcun problema di adattamento del posto di lavoro.
Chi ci entra con un profilo di disabilità intellettiva, che nel gergo dell’area diventa insufficienza o ritardo mentale, o disabilità relazionale ha un’aspettativa di essere scelto sostanzialmente uguale a zero. La maggior parte delle aziende preferisce pagare la minima multa prevista, molto meno onerosa che mettersi in gioco, porsi il problema di come permettere che persone con abilità non standard possano avere un loro ruolo, anche lavorativo.
Cosa farne allora di questa certificazione, perchè sottoporsi a questo passaggio? E con quali aspettative?
È con questa domanda che ci siamo avvicinati, Pietro e noi genitori, all’appuntamento del 25 febbraio, fissatoci dall’ufficio.
La domanda che aleggiava minacciosa per me era quella del rapporto fra invalidità civile e possibilità di occupazione.

MAGGIORENNE
Pietro ha compiuto 18 anni.
Sta frequentando l’ultimo anno presso un istituto professionale alberghiero, in un cosiddetto percorso personalizzato.
Sta svolgendo due tirocini presso un piccolo supermercato e un ristorante, nel nostro paese.
Dopo una serie di scambi ho superato solo molto recentemente la remora a percorrere i passaggi per l’invalidità civile, circa un anno fa.
Si poneva ora il tema del collegio per la legge 68 e l’interazione con la certificazione di invalidità.
Da un punto di vista legislativo era chiaro non ci fosse ostacolo all’intraprendere un lavoro anche in presenza di certificazione di invalidità, anche al 100%, ma dal punto di vista della prassi le cose sono meno chiare. In funzione di chi si incontra. Avevo ascoltato riscontri non positivi su questo fronte e volevo muovermi in modo da non precludere a Pietro nessuna possibilità. Lo stesso motivo per cui avevo scelto di non chiedere l’invalidità fino allo scorso anno.
Ho chiesto allora consiglio a chi conosce queste prassi, oltre che in modo approfondito le leggi e che sa mettersi in gioco nei passaggi cruciali delle persone. Il sindacato è stato per noi questo luogo di confronto importante, il sindacato che ha avuto il volto e il nome di una donna, che ascolta, che accompagna, senza invadere.

RELAZIONI
Chiediamo allora una relazione alla scuola, il suo punto di osservazione è importante, soprattutto per ciò che si sta sviluppando con i tirocini formativi.
Le relazioni assumono talvolta quell’aria oggettiva o vorrebbero averla, pretendendo di parlare dell’oggetto osservato, ma parlano, e anche molto, di chi sta scrivendo, del suo sguardo sulla persona osservata, del suo sguardo sul mondo di cui entrambi fanno parte, delle sue aspettative o della sua assenza di aspettative rispetto al futuro per la persona oggetto della relazione.

“Le autonomie personali di Pietro nel corso dei questi anni hanno avuto una positiva evoluzione attestandosi su un livello base. L’alunno raggiunge in autonomia la scuola utilizzando i mezzi di trasporto pubblici anche se, elementi intervenienti afferibili alla sua tendenza all’agito, talvolta compromettono la sua capacità di raggiungere la scuola in orario. Va sottolineato che tali comportamenti sono diminuiti nel corso del tempo sia come frequenza che come intensità. Pietro, pur conoscendo ed identificando correttamente gli spazi della scuola, talvolta, si muove in modo afinalistico, mosso dai suoi bisogni contingenti.
Lo stile cognitivo dell’alunno è fortemente concreto e necessita di contenuti aderenti alla realtà. È in grado di svolgere in autonomia semplici attività di riconoscimento ed appaiamento di immagini e di replicare schemi di lavoro consolidati all’interno del suo repertorio comportamentale. L’attenzione va sostenuta ma, su attività fortemente strutturate, concrete e ripetitive mostra di avere una tenuta sufficiente.
NOTA FINALE: in tutti e tre i casi, alla domanda di rito: “Assumereste Pietro in qualità di lavoratore a tutti gli effetti, in caso di possibilità di usufruire delle agevolazioni rispetto alla legge 68?”, i referenti hanno risposto negativamente”.

La scuola che Pietro frequenta al quarto anno, e in cui sono attivi tirocini da tre, a cui ci siamo rivolti per una relazione che accompagnasse Pietro in questo passaggio, si esprime in questo modo.
Chi andrebbe a farsi scrivere da un interlocutore con questa prosa una lettera di presentazione per un contesto a cui è fortemente interessato a partecipare?
Per Pietro questo contesto è il mondo, quello in cui vorrebbe trovare uno spazio per stare, essere riconosciuto parte, portare il suo contributo: non è quanto desideriamo tutti?
C’è uno sguardo molto più coinvolto, partecipe della storia di Pietro, nelle parole di due neuropsichiatri, che scrivono due sintetiche relazioni.
Paradossalmente è in un campo che fa parte della sfera sanitaria, o a cui è stata amministrativamente assegnata, che si trova uno sguardo anche molto attento alla sfera sociale. Paradossalmente, solo apparentemente, per chi conosce le storie di alleanza con le neuropsichiatrie e come queste abbiano saputo svolgere in questi anni un ruolo cruciale per un cambio culturale fondamentale, portando a considerare la famiglia e il contesto risorse per la persona con disabilità e la sua emancipazione.

“Il funzionamento di Pietro non è omogeneo, risulta abbastanza adeguato con test non verbali (Raven), mentre non risulta possibile sottoporgli dei test verbali essendo il suo linguaggio deficitario in comprensione, ma soprattutto in produzione. Fatica ad esprimersi con frasi comprensibili, diventa più chiaro quando deve esprimere le sue esperienze. Molto più adeguato nelle attività pratiche dove dimostra una certa autonomia.
Necessita di uno spazio strutturato dove possa compiere delle attività chiare e conosciute. Il lavoro lo aiuta anche nelle relazioni e nel contenimento delle sue fughe, che ora paiono scomparse.
Per il paese si muove autonomamente.
Non ha ancora acquisito un uso completo del denaro.
Adeguato sull’organizzazione del tempo se ha un’agenda (pensata alle sue esigenze) che l’aiuta nella scansione del tempo.
Ha una serie di applicazioni sul cellulare e sul tablet che lo aiutano nella gestione della giornata e nella comunicazione con famigliari, amici e conoscenti”.

E il secondo neuropsichiatra:

“La presenza di strumenti di comunicazione aumentativa (agende, sequenze simboliche e altro) gli consente invece di meglio comprendere i dettagli delle consegne e di gestirle progressivamente in autonomia, diminuendo fortemente l’ansia correlata alle prestazioni richieste e l’impulsività, che in passato hanno rappresentato aree di rilevante difficoltà.
Purtroppo frequentemente invece l’ambiente tende a non utilizzare i supporti simbolici e a fare affidamento solo sulla comprensione verbale, sottovalutando conseguentemente le competenze cognitive di Pietro e le sue effettive possibilità di autonomia.
La sua migliore riuscita in ambiti lavorativi avviene in contesti piccoli, possibilmente a frequenza quotidiana che meglio consentono la strutturazione di abitudini consolidate, con compiti ben definiti e adeguati supporti di comunicazione, soprattutto per la fase iniziale. La presenza del supporto educativo, che può essere utile nelle fasi iniziali, deve però essere modulata molto attentamente per non diventare controproducente. Pietro ha infatti bisogno di sentirsi ingaggiato in prima persona fin da subito, e di essere fortemente riconosciuto nel suo ruolo di adulto lavoratore per poter dare il meglio di sé. L’affiancamento eccessivo e la sottovalutazione delle sue capacità sono gli elementi che presentano il maggior rischio di attivare aspetti oppositivi e dimostrativi, che fortunatamente sono ora quasi scomparsi”.

Su consiglio di uno dei neuropsichiatri cerco di evidenziare l’elemento positivo dell’interazione di Pietro con la tecnologia. Scrivo una breve relazione su questa interazione. Cercando di dire senza enfasi ciò che potrebbe essere di supporto nella progettazione di un suo inserimento lavorativo.
Su questa relazione non ci sono timbri, c’è il mio nome, di padre. E di ingegnere, aggiungo, quasi a giustificare l’ardire di presentare un altro punto di osservazione su Pietro.
Ed arriva infine il giorno della presentazione alla commissione medico legale.

LA FIRMA
“Lei è il tutore? Firma lei?”.
“No guardi, Pietro è maggiorenne, non ha amministratore di sostegno. Firma lui”.
Questo è stato il dato più rilevante della visita medico legale per la legge 68.
Quattro persone presenti, che non si sono presentate, tre uomini, col camice bianco, e una donna, vestita normalmente.
Dietro una scrivania e dietro gli ingombranti monitor di tre pc.
La signora ha stabilito una comunicazione con Pietro, dopo averlo osservato con attenzione mentre firmava, lentamente, con molta intenzione.
Gli ha chiesto con gentilezza e cura e lui ha risposto bene. Qualche piccola traduzione da parte mia è stata necessaria, ma lei l’ha chiesta con molta discrezione.
Due dei tre uomini erano interessati solo alle carte e me ne hanno restituito un plico non di loro pertinenza, che invece la signora si è mostrata interessata a ricevere.
La risposta ci verrà data entro un mese, ci hanno detto dopo essersi scambiati un “per me va bene così”, rapido.
Ci siamo congedati e ho accompagnato Pietro alla fermata del tram. Per andare a scuola.
Lui si è ricordato di chiedermi di scrivere l’ora sul suo libretto per l’entrata posticipata. Gli avevo chiesto di ricordarmelo, “io non me lo ricorderò”, gli avevo detto, come infatti stava succedendo.
Questo tempo che si prendono, che non mi aspettavo, forse non è una cosa negativa.
Invece di scrivere una cosa sbrigativa forse si prendono il tempo di una consultazione reciproca più meditata, spero leggendo quello che abbiamo consegnato.
Pietro si è mostrato al meglio. Aveva piena consapevolezza di cosa si stava facendo ed era pronto, attento, tranquillo.
Io ho dormito poco la notte e anche durante il giorno, poi, andando a Milano, nell’incontro con i miei colleghi e con le persone che partecipavano al laboratorio libri in simboli, un senso di sospensione e criticità mi abitavano.
Mi sembra che abbiamo fatto le cose bene, commenta poi la sera Cinzia. Lo credo anch’io. Adesso vediamo cosa scriveranno nella loro relazione le persone della commissione.
Come poi promuovere un’occasione di partecipazione al mondo del lavoro è un’altra partita. Tutta da giocare.
Da costruire le possibilità, dentro le alleanze che ci sono e quelle che sono da approfondire. Con compagni di viaggio attenti e anche con coloro che lo sono meno o anche molto meno.

IL MIO POSTO NEL MONDO
Si dice delle aspettative irrealistiche dei genitori, dei meccanismi di negazione che portano a immaginare e rappresentare costantemente un figlio diverso da come è.
A volte accade, come accade anche per se stessi. Prima di fare l’incontro decisivo per la propria vita adulta, l’incontro con il proprio limite.
Ma anche quando queste aspettative si sono disegnate evolutivamente su quel figlio, nella tensione positiva continua fra il desiderio che tu sia e l’accoglienza per ciò che sei, il contesto sembra rimandarti un messaggio di assenza, di indifferenza, di delega. Non è affar mio, qui non possiamo farci carico di, starebbe meglio altrove.
È questo meccanismo che tiene ancora in condizioni di emarginazione tante persone, pretendendo che questa non sia una ferita sociale profonda, incisa nella carne viva della società.
E non possiamo andare a dormire tranquilli sapendo della discriminazione di un uomo o di una donna, fossero anche uno solo, ma uno solo non è.
Ci riguarda tutti.

L’ESITO
10 marzo 2016
A distanza di quattordici giorni una raccomandata con avviso di ricevuta ci comunica l’esito. Tredici pagine per lo più di schede vuote, poche parole descrittive e quel parere “sì, sussiste lo stato invalidante utile ai fini del collocamento mirato”.
Ci sono anche i nomi dei quattro componenti della commissione, ecco svelato il codice comunicativo dell’abito: i tre uomini in camice sono medici, la signora vestita normalmente è un operatore sociale. I loro nomi che sostituiscono le firme a norma dell’art. 3 comma 2 del D.lgs. n. 39 del 1993 sono scritti in maiuscolo e nella versione “Cognome Nome”, quasi a segnalare una presa di distanza da se stessi come persone.
Raccogliamo invece i nomi, di persone, di aziende, che si vorranno mettere in gioco, per costruire con Pietro degli spazi di possibilità.
“Se fossi un selezionatore non assumerei Pietro”, ha detto una persona a me cara, a cui avevo consegnato questa narrazione. “Le aziende, quelle classiche, devono fare profitto, questo è il loro specifico”, l’assioma.
Le imprese devono certamente produrre utili. Anche. A Ivrea Adriano Olivetti ha saputo riconoscere anche il valore sociale del lavoro prodotto dalla sua azienda. E ha costruito un modello che ha saputo sviluppare innovazione e qualità altissima. Altri imprenditori, in piccole o grandi imprese, sanno raccogliere questa sfida. A loro ci rivolgeremo.

SIL, servizio di inserimento lavorativo
Ieri, 24 maggio 2016, abbiamo avuto un incontro con due persone del SIL, servizio di inserimento lavorativo, e con l’assistente sociale del Comune.
Il tema era quello dell’osservazione del SIL rispetto al tirocinio che Pietro ha svolto, all’interno del suo percorso scolastico, presso un ristorante locale, nella preparazione dei tavoli e semplici operazioni di cameriere.
Il SIL era stato coinvolto all’interno di un’azione di orientamento promossa dall’Ambito territoriale per i ragazzi con disabilità che, frequentando l’ultimo e il penultimo anno della scuola superiore, si stanno per affacciare al mondo del lavoro, nelle varie forme in cui questo può concretizzarsi.
La restituzione è stata di un registro surreale, con le due operatrici che ci spiegavano ciò che Pietro non sa fare e su cosa sia non adeguato per l’inserimento in un’azienda profit, in una catena di montaggio, che come è a tutti noto è la massima aspirazione per qualunque essere umano.
Che Pietro non sappia scrivere e leggere e che abbia delle sue lentezze e aspetti relazionali su cui lavorare lo sappiamo, care signore.
E quindi, quali sono le vostre considerazioni su cosa sia possibile?
Silenzio.
Loro sono ingaggiate per l’inserimento lavorativo, e hanno dato una restituzione oggettiva del funzionamento di Pietro rispetto alle caratteristiche richieste, pretese, dal mercato profit.
“Le aziende non offrono più lavori semplici, quasi a livello filantropico, per la presenza di persone come Pietro: svuotare i cestini, fare una fotocopia ogni tanto.
Ci sono richieste molto intense, le aziende sono orientate alla produzione, non possono distaccare risorse per supportare la presenza di una persona che non sappia gestire in modo completamente autonomo il processo”.
Questa è la fotografia tayloristica che le due operatrici del SIL ci hanno consegnato, questo è il loro sguardo sul mondo, questo è lo sguardo sulle persone che si rivolgono a loro per un orientamento.
Indosso anch’io degli occhiali “oggettivi” per un attimo: terminate quello che state facendo, signore, e cambiate lavoro. Questo non fa per voi.
Dismetto subito gli occhiali, ne filtra una luce fredda e incapace di cogliere le connessioni, le possibilità esistenti.
E mi rivolgo alle due signore.
“Ho ascoltato la vostra relazione con delusione”, dico.
“Io credo invece che le aziende, anche se forse una percentuale notevole non ne ha consapevolezza e non lo vuole neppure sapere, hanno anche una funzione sociale, rispetto al contesto in cui si muovono.
Insieme alla creazione di ricchezza economica, c’è, ugualmente importante, un ruolo sociale.
Che non significa pietistico e neppure assistenziale.
Significa avere consapevolezza che se si è parte viva del contesto si sta bene tutti, se si saccheggia soltanto il territorio, in termini di persone e di ambiente, il deserto, con tempi più o meno lunghi, è ciò che è destinato a manifestarsi”.
È quello che è successo ad esempio per il contesto di Biella, dove una presenza preziosa come quella di Olivetti è stata cancellata dalla miopia di chi ha cercato solo il guadagno immediato, quello finanziario.
Se ci si limita al semplice constatare la non disponibilità del mercato all’impiego di persone non sufficientemente performanti, se si aderisce acriticamente ai vincoli che questo mercato impone, se si resta fuori dalla porta chiusa, non si sta facendo un servizio.
Conosco la triste fine di aziende locali, del distretto della gomma plastica e del bottone, che avevano puntato tutto sull’abbassamento del costo del lavoro, sull’aumento del numero di oggetti prodotti nell’unità di tempo. Non hanno retto la concorrenza di mercati che su quel piano hanno molto più da dire. Non è stato sufficiente produrre quella guarnizione in 52 secondi invece di 64. Quelle aziende che vedevano ogni mattina l’ingresso di centinaia di lavoratori sono ora gusci vuoti.
Occorre attivare tutta la creatività, la conoscenza di sperimentazioni, la conoscenza del contesto, il coinvolgimento delle istituzioni perché esercitino una giusta pressione, la conoscenza positiva delle persone cha al servizio si rivolgono per poter dare delle risposte.
E quando parlate delle persone che osservate, care signore, usate dei termini rispettosi. “Ossessione”, per descrivere un’attitudine alla precisione, non è un buon modo per stabilire un’alleanza con i genitori, con la persona stessa, in primo luogo.
Questa alleanza, care signore, è necessaria.
È in forza di questa che il vostro lavoro è, potrebbe essere, prezioso.
Se così non è, il vostro lavoro è inutile e l’impegno economico del contesto sociale per mantenerlo in vita è ingiustificato.

INSERIMENTO SOCIO-OCCUPAZIONALE
Poi l’assistente sociale ci annuncia che il ristorante è disponibile a continuare la collaborazione con Pietro in un quadro di inserimento socio-occupazionale.
Come? Vi stiamo dicendo una cosa bella, non siete contenti?
Ero presente all’incontro come papà di Pietro, e questa era la mia maggiore attenzione.
Ma anche come consigliere del Coordinamento bergamasco per l’integrazione e di Ledha, come movimento associativo, come persona che lavora a livello sociale per i diritti delle persone.
E no, non potevo essere contento di ciò che si è manifestato nell’incontro.
Anche se il fatto che Pietro possa continuare la sua collaborazione col ristorante è ciò che speravamo, noi genitori.
La logica dei servizi, questo di inserimento lavorativo, quella dei centri diurni, quella delle residenze sanitarie, quella dell’assistenza educativa scolastica, deve prendere atto dell’esistenza della Convenzione Onu dei diritti delle persone con disabilità.
Uscire da logiche assistenziali e disegnare risposte rispettose della dignità delle persone.
Lo stesso rispetto che ciascuno di noi si aspetta quando siamo noi le persone osservate, valutate.

LA SCUOLA È TERMINATA
Pietro farà il cameriere, quattro ore al giorno, presso il ristorante locale. Un inserimento socio occupazionale. Non un lavoro vero e proprio, con un contratto, una retribuzione. Ma comunque con delle relazioni sociali, con dei colleghi, con la percezione di un ruolo, di un proprio contributo al contesto sociale.
Ci sono stati diversi contributi per raggiungere questo sia pur limitato risultato. La disponibilità a investire del ristorante, la fiducia consegnata dai genitori, dalla sorella, dalla scuola, dai compagni, dagli adulti che hanno saputo confrontarsi. L’azione amministrativa dell’assistente sociale. La disponibilità del comune a mettere la parte assicurativa del progetto. Ma il merito principale di questo esito va a lui, a Pietro, alla sua capacità di mettersi in relazione con gentilezza e sensibilità. Alla sua riservatezza. Alla sua capacità di assumersi delle responsabilità, quando lo spazio gli è riconosciuto. Alla sua bellezza, di persona felice di essere nel mondo, insieme agli altri.
I clienti del ristorante, i colleghi, i titolari apprezzeranno queste qualità. E noi siamo felici per Pietro e per loro.
Antonio Bianchi
abianchi@sonic.it




Progetto Margherita Prosafe

Anche quest’anno è stato prodotto il rapporto annuale del progetto PROSAFE!
Il progetto, coordinato dal Gruppo GiViTI (Gruppo italiano per la Valutazione degli interventi in Terapia Intensiva), prevede la raccolta, su supporto elettronico, dei dati relativi ai pazienti ricoverati nei reparti di Terapia Intensiva con l’obiettivo di analizzare l’attività clinica svolta e di consentire un confronto tra diversi reparti per una corretta valutazione della qualità dell’assistenza fornita.
I reparti coinvolti sono 256 e il progetto raccoglie ormai oltre 90.000 pazienti all’anno. Si tratta di un patrimonio importante, che sempre di più viene utilizzato, dai singoli reparti come dai gruppi di ricercatori, per rispondere a domande rilevanti per la gestione dei singoli reparti, per la comunità scientifica e, in ultima analisi, per la salute dei pazienti.



Dal 2011, grazie a finanziamenti dell’Unione Europea, il progetto ha valicato i confini italiani e sono stati coinvolti in questa avventura anche alcuni reparti di Terapia Intensiva in Grecia, Ungheria, Israele, Slovenia e a Cipro. La collaborazione con i diversi partner europei si è rivelata da subito estremamente fertile e piacevole, fino a sfociare in solidi rapporti di stima e amicizia oltre che di collaborazione scientifica.
Nuovi strumenti informatici continuano ad essere sviluppati per far fronte alle richieste dei centri: sistemi utili a coordinare i centri iscritti, a gestire le traduzioni nei diversi linguaggi, a produrre statistiche e a generare in automatico i rapporti insieme a diverse applicazioni per il supporto tecnico e informatico.
I risultati ottenuti anche quest’anno, frutto di una entusiasmante e proficua collaborazione con tutti i reparti coinvolti nel progetto, ci spronano sempre più ad esplorare nuovi scenari per la valutazione e il miglioramento della qualità dell’assistenza nella medicina intensiva.