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USO OFF-LABEL DELLA NICARDIPINA COME TOCOLITICO E RISCHIO DI EDEMA POLMONARE ACUTO
La nicardipina è un calcio-antagonista approvato per il trattamento dell’ipertensione arteriosa, dell’insufficienza coronarica e dell’angina. A seguito dell’effetto miorilassante esercitato sulle cellule muscolari lisce del sistema genito-urinario, viene spesso impiegata anche come agente tocolitico in gravidanza, nonostante l’utilizzo per questa indicazione sia off-label. L’edema polmonare acuto (EPA) è la reazione avversa più grave, anche se rara, associata all’uso di nicardipina come tocolitico. In questo studio sono stati analizzati i casi di EPA, riportati sul database della farmacovigilanza europeo EudraVigilance, a seguito della somministrazione di nicardipina come tocolitico. Sono stati identificati 34 casi di cui 10 gravi, la cui valutazione ha suggerito un’associazione potenzialmente causale tra l’EPA e l’uso off-label di nicardipina. La maggior parte delle sospette reazioni avverse gravi si è verificata dopo 24-96 ore dalla somministrazione del farmaco, in donne con età compresa tra i 27 e i 39 anni e trattate con nicardipina per via endovenosa. Il Comitato di valutazione dei rischi per la farmacovigilanza di EMA ha raccomandando un aggiornamento della scheda tecnica delle nicardipina e ha ristretto le indicazioni d’uso dei medicinali a base di nicardipina per uso endovenoso al trattamento dell’ipertensione acuta (improvvisa) in grado di costituire un pericolo per la vita e al controllo dell’ipertensione dopo un intervento chirurgico. L’utilizzo di nicardipina per via endovenosa per altre indicazioni non è più raccomandato. (Luca Pasina)
Fonte: Melis M, Cupelli A, Sottosanti L, et al. Off-label use of nicardipine as tocolytic and acute pulmonary oedema: a post-marketing analysis of adverse drug reaction reports in EudraVigilance. Pharmacoepidemiol Drug Saf 2015; 24: 1220-4.




INFORMARSI IN INTERNET IN GRAVIDANZA
La ricerca di informazioni on line è essenzialmente volta all’accrescimento della cultura personale, in particolare recuperare notizie relative alla salute è una pratica comune dell’e-health, definita dall’Organizzazione Mondiale della Salute come l’utilizzo delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione in ambito sanitario. Una particolare categoria di utenti è rappresentata dalle donne in gravidanza. È stato condotto uno studio trasversale multicentrico per valutare come le differenze sociodemografiche e geografiche in un campione di donne gravide italiane possano influire sulla ricerca di informazioni nel web. Sono state coinvolte nell’indagine sette città (Cassino, Chieti, Palermo, Roma, Siena, Torino, Udine). I dati sono stati raccolti tra novembre 2011 e settembre 2012 mediante un questionario anonimo e analizzati tramite un modello di regressione logistica lineare. Delle 1347 donne intervistate l’86% ha dichiarato di cercare on line informazioni relative alla gravidanza. Palermo è la città con la percentuale più alta di donne giovani (il 22,7% infatti ha età compresa tra i 18 e i 25 anni), mentre a Torino e Udine si registrano percentuali più alte di donne di età superiore ai 35 anni. Gli argomenti più ricercati sono risultati: lo sviluppo fetale (51,3%), le indicazioni su un corretto stile di vita durante la gravidanza (48,7%), gli elementi di fisiologia (39,8%) e l’allattamento (36,8%). Le ragioni fondamentali che hanno spinto la ricerca nel web da parte delle donne sono rappresentate nel 59,4% dei casi dalla rapidità di ottenimento delle informazioni e nel 50,4% dall’opportunità di approfondire esclusivamente argomenti di interesse. Tali risultati hanno mostrato differenze statisticamente significative in funzione dell’area geografica, dell’età e del livello d’istruzione potrebbero rappresentare uno spunto per migliorare e rendere più chiara e fruibile la comunicazione tra professionisti sanitari e pazienti durante le visite di routine. (Daria Putignano) 
Fonte: Scaioli G, Bert F, Galis V, et al. Pregnancy and internet: sociodemographic and geographic differences in e-health practice. Results from an Italian multicenter study. Public Health 2015; 129: 1258-66.




EPILESSIA: LO STUDIO SOPHIE
Study of Outcomes of PHarmacoresistence In Epilepsy”: questo studio prospettico ha coinvolto 11 centri italiani con l’obiettivo di valutare i costi sanitari diretti (esami diagnostici e di laboratorio, visite specialistiche, ricoveri ospedalieri e terapie) correlati alla gestione della epilessia refrattaria. Lo studio ha anche raccolto dati semestrali su diversi parametri clinici, inclusa la qualità di vita. Globalmente sono stati seguiti per 18 mesi 1040 pazienti, con età media di 35 anni e durata di malattia di 21 anni. Il costo annuale medio per paziente è stato stimato in €4.863, con una marcata variabilità fra pazienti (soprattutto in relazione alle patologie concomitanti) e fra centri (mediana: €3.403; IQR: 100.327). Come prevedibile, la spesa per i farmaci antiepilettici (AED), per il 90% di seconda generazione, ha rappresentato la principale voce di costo (50%) seguita dalla ospedalizzazione (29%) soprattutto ordinaria. Tuttavia, considerando che è stato ricoverato solo un quarto dei pazienti, in termini relativi l’ospedalizzazione sembra rappresentare la voce di costo più importante, in particolare per i pazienti pediatrici (età ≤11 anni). I principali fattori predittivi di spesa sono stati: politerapia con diversi AED, frequenza mensile delle crisi, comparsa di stato epilettico, farmacoresistenza e patologie concomitanti. Gli autori hanno inoltre confrontato, cercando di controllare le principali fonti di eterogeneità, i risultati ottenuti con altri studi condotti in Italia e altri paesi europei negli ultimi 20 anni. La stima media annuale del totale dei costi sanitari diretti, normalizzati al 2013, varia da €3.305 a €4.677 per paziente con epilessia refrattaria in Italia, sovrapponibile alla Germania (€4.995) e inferiore rispetto alla Spagna (€5.936), dove è più elevato il costo degli AED. Lo studio SOPHIE è un interessante esempio di valutazione economica parziale condotta in Italia con i fondi AIFA per la ricerca indipendente. La stima dei costi di malattia (sanitari diretti) da parte delle istituzioni pubbliche è un buon investimento perché permette di stimare meglio l’impatto e il valore delle nuove tecnologie sanitarie ad alto costo. Insomma, SOPHIE è un buon esempio! (Gianluigi Casadei) 
Fonte: Luoni C, Canevini MP, Capovilla G, et al. A prospective study of direct medical costs in a large cohort of consecutively enrolled patients with refractory epilepsy in Italy. Epilepsia 2015; 56: 1162-73.




CONTINUITÀ DI CURA DAI SERVIZI DI NEUROPSICHIATRIA INFANTILE A QUELLI PER ADULTI: COSA SUCCEDE IN EMILIA-ROMAGNA?
Il passaggio all’età adulta, come periodo dell’età evolutiva, è ritenuto un intervallo importante e critico nella vita di tutti, in particolare per i pazienti con una patologia cronica e complessa come i disturbi neuropsichiatrici. Questo studio aveva lo scopo di analizzare i dati relativi ai pazienti di età superiore ai 15 anni in carico ai servizi pubblici di neuropsichiatria infantile al fine di esaminare se e quali variabili demografiche e/o cliniche fossero associate con la continuità di cura in età adulta. Nel periodo 2010-2013, i dati relativi a 8239 adolescenti sono stati analizzati. Di questi, 2156 (26%) casi di disabilità intellettiva e 1857 (23%) casi di disturbi specifici dello sviluppo sono stati esclusi, i primi perché seguiti per lo più dai servizi sociali e i secondi perché non di competenza dei servizi di psichiatria per adulti. I rimanenti 4226 (51%) erano pazienti che avrebbero potenzialmente necessitato la transizione: 821 (20%) avevano effettuato il passaggio ai servizi di psichiatra per adulti, mentre meno di un terzo restava in carico ai servizi di neuropsichiatria infantile (soprattutto adolescenti con disturbi emotivo-comportamentali). La transizione veniva effettuata per lo più da pazienti (età media M:18,1; F:17,6 anni) con diagnosi di schizofrenia, disturbi di personalità o disturbi pervasivi dello sviluppo, che più spesso non vivevano con la famiglia di origine e che avevano avuto ricoveri e prescrizioni di psicofarmaci nei due anni precedenti. A giudizio delle famiglie e dei clinici il passaggio è traumatico – il paziente non è informato per tempo, preparato, accompagnato – e spesso non è concordato e condiviso tra gli operatori. La strada da perseguire è quella della collaborazione tra i servizi nelle diverse realtà regionali al fine di stilare, con il coinvolgimento di pazienti e famiglie, protocolli condivisi da valutare in termini di costi, esiti, fattibilità, sostenibilità nel tempo, e soddisfazione dei pazienti e familiari.
(Laura Reale)
Fonte: Stagi P, Galeotti S, Mimmi S, Starace F, Castagnini AC. Continuity of care from child and adolescent to adult mental health services: evidence from a regional survey in Northern Italy. Eur Child Adolesc Psychiatry 2015; 24: 1535-41.