Se la pratica si dissocia dalla ricerca

Nel mese di aprile di quest’anno, JAMA ha pubblicato una serie di articoli sul ruolo della vitamina D nella prevenzione delle fratture e delle cadute. In base all’insieme delle evidenze disponibili, la conclusione della USPSTF (United States Preventive Services Task Force) è netta: la supplementazione di vitamina D, da sola o con calcio – in soggetti adulti non istituzionalizzati e senza un deficit noto di vitamina D, osteoporosi o precedenti fratture – non è associata a una riduzione dell’incidenza di fratture.
Il risultato non mette in discussione, naturalmente, il ruolo noto della vitamina D nell’assorbimento del calcio, nel metabolismo osseo o nel mantenimento della forza muscolare. Non rimette neppure in questione l’osservazione che il deficit di vitamina D sia un fattore di rischio delle cadute e delle fratture – a cominciare dalle fratture del femore – nei soggetti anziani. Più semplicemente, indica che un soggetto “sano” non ha bisogno di assumere dosi aggiuntive di vitamina D.
Nella revisione della letteratura riguardante la prevenzione delle fratture, sono stati esaminati 11 RCT relativi a 51.419 adulti asintomatici di età superiore a 50 anni1,2. Secondo la USPSTF, le evidenze sono adeguate per non raccomandare alcuni dosaggi di vitamina D e calcio, mentre sono insufficienti per valutare il bilancio fra benefici e rischi della supplementazione. Sì, perché ci sono anche i rischi, sebbene relativamente contenuti: la supplementazione di vitamina D e calcio aumenta il rischio di calcoli renali RR 1,18 (IC95% 1,04-1,35).
Di notevole interesse sono anche la revisione della letteratura e le raccomandazioni relative agli interventi di prevenzione delle cadute3,4. La USPSTF corregge la raccomandazione del 2012 a favore della vitamina D sostituendola con l’attuale “against vitamin D supplementation to prevent falls in community-dwelling adults 65 years or older”. Si aggiunge inoltre un’informazione di grande importanza. Gli interventi basati sull’esercizio fisico riducono in maniera statisticamente significativa il rischio di andare incontro a cadute dannose ( injurious falls): RR 0,81 (IC 95% 0,73-0,90). Tenuto conto della forte associazione fra cadute e fratture, in particolare per le fratture del femore, si comprendono le implicazioni. Se poi si considera che l’attività fisica ha un effetto complessivo sulla salute – dalle malattie cardiovascolari al diabete, dalla demenza ai tumori – dovrebbe essere chiaro dove spostare l’enfasi delle raccomandazioni.
In Italia, invece, sono esplose nel tempo le prescrizioni di vitamina D. La formulazione più utilizzata, il colecalciferolo, per anni con livelli d’uso trascurabili, è diventata nel 2016 uno dei dieci farmaci più prescritti in medicina generale, con una spesa di circa 180 milioni di euro5. Nel 2017 si stima un aumento ulteriore del 25-30%. In termini di persone esposte, siamo intorno al 10% della popolazione generale che riceve prescrizioni di vitamina D.
Questo aumento di prescrizioni di vitamina D nella pratica clinica non è coerente con le raccomandazioni appena discusse. Soprattutto, se si considera che una riserva adeguata di vitamina D durante l’anno può essere ottenuta con un po’ di esposizione al sole durante i mesi estivi, e che promuovendo l’esercizio fisico ci sono ricadute complessivamente positive sullo stato di salute. Insomma, un bell’esempio dell’importanza di riconciliare evidenze scientifiche e pratica medica per migliorare lo stato di salute e liberare risorse verso usi più ragionevoli.
Giuseppe Traversa
Centro di ricerca e valutazione dei farmaci
Istituto Superiore di Sanità
giuseppe.traversa@iss.it

BIBLIOGRAFIA
1. Kahwati LC, et al. JAMA 2018; 319: 1600-12. doi:10.1001/jama.2017.21640
2. USPSTF. JAMA 2018; 319: 1592-9. doi:10.1001/jama.2018.3185
3. Guirguis-Blake JM, et al. JAMA 2018; 319: 1705-16. doi:10.1001/jama.2017.21962
4. USPSTF. JAMA 2018; 319: 1696-1704. doi:10.1001/jama.2018.3097
5. Rapporto OsMed 2016. www.aifa.gov.it/sites/default/files/Rapporto_OsMed_2016_AIFA.pdf

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