Una storia attuale

In questo periodo di “lotta” al Covid-19 e soprattutto di false informazioni sui vaccini, di cui è portavoce una minoranza rumorosa e aggressiva, leggere un libro come questo è quasi indispensabile. Il libro è complesso, quasi 300 pagine articolate in 7 capitoli, che non si limita a descrivere tutti gli aspetti del percorso storico e scientifico che ha portato alla realizzazione del vaccino, sottolineandole le difficoltà e gli errori, ma descrive anche la campagna polio in Italia, fino alla “polio oggi”.

È la storia dettagliata della messa a punto del vaccino antipolio e della sua diffusione con enormi difficoltà per quel periodo: l’identificazione dei vari ceppi, la coltivazione del virus, la sua inattivazione, la sua attenuazione, la produzione dei vaccini, la sua distribuzione su scala nazionale e mondiale e da ultimo anche gli errori e gli involontari incidenti.

Sono molti i protagonisti di questa vera e propria corsa al vaccino, non solo Salk e Sabin ma un grandissimo numero di ricercatori, a cominciare dal gruppo che ha individuato la trasmissione oro-fecale del virus correggendo l’ipotesi precedente della diffusione per via nervosa del virus: scoperta molto importante che avrà ripercussioni sulla successiva strategia vaccinale.




Un’altra acquisizione importante, che varrà a Enders, Robbin e Weller il premio Nobel per la medicina nel 1948 (unico premio Nobel legato alla poliomielite), è stata l’identificazione della procedura per coltivare il virus su cellule, passaggio importante che insieme a quello precedente di Armtrong permise di ridurre notevolmente l’impiego di primati che tuttavia furono ancora massicciamente utilizzati negli anni successivi; per la sola tipizzazione del virus eseguita da Salk nel 1951 vennero sacrificate 20.000 scimmie. Da qui parte la corsa al vaccino che vede un importante misconosciuto contributo: quello di Isabel Morgan che mise a punto la tecnica dell’inattivazione del virus con formaldeide e ne verificò l’efficacia su alcuni primati. Ma le ricerche della Morgan si fermarono troppo presto, lasciò la ricerca (forse perché malpagata e sottovalutata, come accadeva e accade tutt’ora alle donne, lascia intendere l’autrice) per sposarsi e dedicarsi principalmente al figliastro disabile. La strada maestra è aperta con una vera e propria corsa al vaccino, inizialmente quello inattivato. Corsa non senza errori, passaggi etici discutibili e incidenti di fabbricazione, come il caso dell’azienda farmaceutica Cutter che, di fatto, ritardò la vaccinazione dei bambini americani di quasi due anni.

Alla messa a punto del vaccino antipolio vanno attributi molti meriti, oltre a quello principale di aver debellato la malattia salvando migliaia di bambini da paralisi o morte, quello di aver introdotto un passaggio metodologico epocale. Negli Stati Uniti nel 1953 si verificò la più grande epidemia di polio con 58.000 casi e 3100 decessi, il vaccino era sempre più atteso.
Il 26 aprile del 1954 inizia il primo grande trial clinico in cieco mai eseguito che coinvolse 1,9 milioni di bambini con un impegno organizzativo imponente. Ci volle un anno di attesa per l’analisi dei risultati e il 12 aprile in una cornice che oggi definiremmo mediatica con centinaia di giornalisti, reporter stranieri, cronisti radio e con la trasmissione in diretta TV, venne annunciata l’efficacia del vaccino inattivato:
il trionfo di Salk. Questo fu il primo grande coinvolgimento mediatico del mondo scientifico che caratterizzò tutto il percorso di preparazione del vaccino e le analogie di questi anni con Covid-19 sono evidenti. I giornali dell’epoca seguivano gli sviluppi della corsa al vaccino e i suoi protagonisti, in particolare Salk rilasciò spesso interviste ai quotidiani e alle radio nazionali, atteggiamento non condiviso dal resto del mondo scientifico. Anche se il vaccino inattivato Salk si affermava in molte parti del mondo, non senza problemi, Sabin stava lavorando al suo vaccino attenuato.




Il settimanale TIME del 23 maggio 1955 gli dedicava la copertina titolando “Prossimo passo: un vaccino attenuato?”. Si apre così un nuovo capitolo della storia del vaccino antipolio; la “gara” tra i due tipi di vaccino e la malcelata rivalità tra Salk e Sabin. Nel 1959 Sabin sperimenta il suo vaccino orale in Unione Sovietica sull’incredibile numero di 10 milioni di bambini, tuttavia a differenza del trial di Salk non esistevano gruppi controllo.
Lo stile era decisamente diverso: “niente annose discussioni tra esperti”. Fortunatamente già alla fine dell’anno fu evidente che il vaccino funzionava bene, tanto che il Ministro della Salute decise di estenderlo a tutti i ragazzi sotto i vent’anni: 77 milioni di individui. Il trionfo di Sabin. Ora occorreva convincere i Paesi occidentali della validità dello studio sovietico (siamo ancora negli anni della guerra fredda). Sabin ottiene, grazie ad un importante
endorsement dell’OMS, di avviare una sperimentazione in USA nel 1960: inizia una nuova era del vaccino antipolio e nel 1963 gli USA sostituiscono definitivamente il vaccino Salk con il Sabin, non senza vivaci discussioni sul miglior vaccino. Per Salk è un momento difficile, terribilmente doloroso. Solo dopo sette anni il suo “dono al mondo” era superato,
il vincitore della lunga corsa era Sabin. In realtà entrambi lo erano, perché solo l’azione sinergica dei due vaccini ha permesso l’eradicazione della malattia. Nel 1998 il
Center for Control and Prevention americano, controllata la diffusione della malattia e per ridurre gli effetti avversi del vaccino attenuato, raccomandò di abbandonare il vaccino Sabin per mantenere solo il vaccino inattivato Salk. Sabin era morto nel 1993 e anche Salk, che dagli anni Sessanta si era adoperato in ogni modo per difendere il suo vaccino e riportarlo in auge, non fece in tempo a vedere la sua simbolica vittoria: era deceduto tre anni prima.

Per validare il vaccino antipolio è stato realizzato il primo grande trial moderno e si è realizzata la prima interazione tra media e scienza. Per finanziare il progetto del vaccino è stata necessaria una somma enorme, raccolta con una campagna di found raising su scala nazionale, il primo esempio di raccolta fondi moderna. Venne avviata una vera macchina per la raccolta con grande appoggio della stampa e delle case cinematografiche come la Metro Goldwyn Mayer che mise a disposizione star di Hollywood come Judy Garland e Marilyn Monroe, che fecero da testimonial alla vera innovazione delle charities con la March of Dimes (La marcia delle monetine) con cui si invitava a donare i propri spiccioli, nello specifico monetine da 10 centesimi. Tuttavia questo successo e la stessa riuscita della realizzazione del vaccino antipolio furono possibili grazie all’impegno personale del presidente Franklin Delano Roosevelt. Roosevelt nel 1921, a 39 anni, aveva contratto una paralisi alle gambe da polio (più probabilmente un esito da Guilland Barrè),
e quindi inizia l’impegno per la riabilitazione, non solo sua, ma creando una struttura gratuita per la riabilitazione dei bambini affetti da paralisi. Venti anni dopo nel 1932, Roosevelt venne eletto presidente degli Stati Uniti e divenne il vero pilastro della corsa verso il vaccino, sostenendo sia la ricerca che la raccolta fondi. Dal 1938 al 1962 la
March of Dimes raccolse 630 milioni di dollari di cui 560 vennero utilizzati per le cure e la riabilitazione dei poliomielitici e 70 per la ricerca (dieci volte la somma stanziata dal National Institute of Health).

E in Italia? In Italia la campagna vaccinale inizia e procede con difficoltà, scontando molti aspetti disorganizzativi. In quegli anni non esisteva il Ministero della Salute, verrà istituito solo nel 1958, anno in cui si verificò una delle peggiori epidemie (8733 casi con 1180 morti). Si inizia a vaccinare nel 1957 con un vaccino inattivato prodotto dall’Istituto Sieroterapico Italiano di Napoli, ma solo su 20.000 bambini, numeri molto bassi rispetto agli altri Paesi. Inizia la corsa all’importazione del vaccino Salk. Nell’autunno del ‘57 il Governo si impegna a distribuire il vaccino gratuitamente ai bambini di età scolare e prescolare, ma molti lamentano che il vaccino risulta “introvabile”.
Il resto lo fece l’insufficiente opera di comunicazione a supporto della campagna vaccinale e gli stessi medici e farmacisti non sempre collaborativi. Anche il passaggio al vaccino Sabin non fu facile, nonostante i molti fautori del vaccino attenuato; nel 1960 il Ministro della Sanità Giardina intervenne per impedire la registrazione del vaccino attenuato in Italia e un medico provinciale sigillò le fiale disponibili per impedirne l’utilizzo. Così, mentre il resto delle nazioni occidentali si avviava alla sostituzione del vaccino Salk, l’Italia rimaneva ancora indietro, addirittura nel 1962 il nuovo ministro Jervolino acquistò 25 milioni di dosi di Salk, per 5 miliardi di lire, il maggior quantitativo mai acquistato. Toccò al successivo Ministro Giacomo Mancini con molta determinazione, nel 1964, ad imporre il vaccino Sabin. Già nel ‘65 i risultati erano evidenti: in tutto l’anno si verificarono 254 casi contro la media di 2000 degli anni precedenti. In pochi anni i casi di poliomielite calarono sotto le centinaia fino a scomparire definitivamente nel 1983. Nel triennio di attesa del nuovo vaccino, 8431 persone rimasero paralizzate e 1087 morirono, pagando il prezzo dell’eccessiva e non sempre trasparente cautela del Ministero verso il vaccino attenuato.

Il libro di Agnese Collino non tralascia nessun aspetto della storia affascinante della corsa al vaccino antipolio, descrive ampiamente le difficoltà, gli errori e gli incidenti legati alla messa a punto del vaccino e anche le problematiche delle paralisi post-vaccino e della sindrome post-vaccino.

Dal libro emergono la fatica, la generosità e la tenacia di migliaia di ricercatori che hanno portato alla eradicazione di questa malattia. Emerge anche la sofferenza dei genitori e dei bambini che hanno “sofferto la polio sulla propria pelle” ed è a queste persone che Anna Collino dedica, giustamente, il suo libro.

Manca solo un piccolo aneddoto.
Negli USA il vaccino antipolio era fortemente atteso e fu ben accettato, con un giustificato timore legato alle imperfezioni nella preparazione, ben divulgate dalla stampa. Solo una piccolissima parte della popolazione, legata ai testimoni di Geova e ad altre sette religiose minori, faceva resistenza. La scelta del Governo USA fu quella di usare un prestigioso testimonial: Elvis il più popolare cantante di tutti i tempi.

Rossano M. Rezzonico

Già Direttore U.O.D.

Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale

ASST-Rhodense

rossano.rezzonico@libero.it