I predatori della scienza

La prima volta che ho sentito parlare di predatory journals, nel 2015, è stato grazie a Vanna Pistotti, allora responsabile documentalista dell’Istituto Mario Negri, che, elenco alla mano, ci metteva in allerta sul rischio di pubblicare su riviste predatorie. L’elenco aveva come fonte la lista stilata da Jeffrey Beall, documentalista, che ne coniò il termine. Nel 2013 Beall subì la minaccia di una causa da un miliardo di dollari da parte di OMICS international, uno dei più grandi gruppi editoriali accusati di essere predatori1. A causa di pressioni da diversi fronti, nel 2017 Beall chiuse il sito dove era disponibile la sua lista2. La OMICS international nel 2016 fu accusata di pratica commerciale ingannevole da parte della Commissione federale del commercio statunitense e nel 2018 perse la causa, per un ammontare di 50 milioni di dollari. Dall’inchiesta della Commissione è risultato che OMICS aveva pubblicato 69.000 articoli di diverse discipline, senza sottometterli al processo di revisioni dei pari (peer review), o con una revisione minima, al contrario di quanto dichiarato3. Nonostante la difficoltà a rendere operativa la sentenza nei confronti di OMICS, con sede in India, le conseguenze sulla reputazione del gruppo editoriale si sono tradotte in un calo del 40% di articoli pubblicati. La OMICS ha reagito cancellando nel 2020 il suo nome da centinaia di indirizzi URL e siti di riviste appartenenti all’azienda, mettendo sul mercato il marchio “Hilaris”3.


COME SI RICONOSCONO
LE RIVISTE PREDATORIE?

Il termine è stato coniato nel 2010 e sta ad indicare riviste ad accesso libero (open access) di dubbia o scarsa qualità, che dichiarano di offrire servizi che di fatto non mettono in opera, i cui nomi spesso mimano nomi di riviste prestigiose. Alcune riviste riportano sui propri siti responsabili editoriali inventati, con nomi di persone ignare di essere indicate come tali. Alcune ri-pubblicano articoli già pubblicati indicizzandoli con nuovi DOI (digital object identifier) – sistemi di identificazione associati ai singoli articoli – senza citare la fonte originale e a volte senza citare l’autore originale3. Si tratta di un numero considerevole di riviste e gruppi editoriali, difficile da misurare anche per la difficoltà di darne una definizione condivisa. Secondo uno studio longitudinale condotto alcuni anni fa, da 53.000 articoli pubblicati su riviste predatorie nel 2010, si è arrivati a una stima di 420.000 articoli nel 20144.

Il database Lacuna (lacunadb.io), sviluppato recentemente da un gruppo di ricercatori, include oltre 900.000 articoli pubblicati su 2300 riviste appartenenti a 10 editori, che dichiarano servizi che non hanno3. L’obiettivo è fornire informazioni che, a un estremo dello spettro, riguardano riviste ingannevoli, mentre all’altro estremo riguardano riviste di scarsa qualità, o con risorse insufficienti per far fronte ai costi di un processo editoriale di alta qualità. Lo scopo dei creatori di Lacuna è di mostrare le “sfumature di legittimità lungo la comunicazione accademica”, come le definiscono loro stessi3. La classificazione riguarda diversi livelli e gradi di pratiche di pubblicazioni discutibili fuori da una logica binaria, di fatto impossibile da seguire. Le riviste predatorie hanno trovato il modo di entrare ed essere indicizzate in banche autorevoli come Pubmed o Web of science. D’altro lato, le nuove riviste devono pubblicare per almeno un anno prima di poter richiedere di essere indicizzate. Neanche essere membri di organizzazioni autorevoli come il Committee on publication ethics, essere indicizzati su database come Web of science o Pubmed, l’inclusione nella Directory of open access journals possono essere considerati indicatori di demarcazione delle riviste di buona qualità5.


ALLA RICERCA DI UNA DEFINIZIONE CONDIVISA

Negli anni le riviste predatorie sono diventate oggetto di centinaia di pubblicazioni, di oltre 90 checklist prodotte per smascherarle e di campagne di sensibilizzazione, come la campagna “Think, check, submit” (https://thinkchecksubmit.org/)5. Nonostante questo, continuano a operare e a crescere, complici i sistemi informatici e la facilità di gestione dei processi editoriali online.

Uno dei punti critici è la mancanza di una definizione di cosa sia una rivista predatoria. Un gruppo di ricercatori, editori scientifici, finanziatori, documentalisti e pazienti partner in progetti di ricerca, provenienti da 10 Paesi, si sono incontrati ad aprile 2019 per confrontarsi e concordare su una definizione5. Pur criticando il termine “predatorie”, perché fuorviante rispetto ai tanti aspetti in cui la questione si articola, il gruppo ha deciso di continuare a utilizzarlo perché ormai noto. Le riviste predatorie sono state quindi definite come riviste guidate unicamente dal proprio interesse, solitamente finanziario, che danno informazioni false o fuorvianti, pubblicano sul proprio sito impact factor finti, indirizzi scorretti, informazioni ambigue sul processo di revisori tra pari. Pratiche editoriali non trasparenti, mancanza di informazioni facilmente accessibili sui costi di pubblicazione, inviti a pubblicare reiterati e con continue sollecitazioni sono altre caratteristiche. Un indicatore escluso da questa definizione è la qualità del processo di revisione tra pari, perché considerato impossibile da valutare dall’esterno5.

Di opinione diversa è, tra gli altri, il gruppo di ricercatori che ha sviluppato Lacuna, secondo cui il contenuto delle revisioni tra pari mostra quanto una rivista gestisca seriamente la sottomissione di un articolo3. Aprire la scatola nera del processo di revisione tra pari, pubblicando le revisioni, o rendendole disponibili in via confidenziale ai portatori di interesse, aiuterebbe nella scoperta di pratiche di scarsa qualità e incoraggerebbe le buone pratiche. In mancanza di questo, dovrebbe essere previsto un controllo del processo di revisione da parte dei finanziatori3.


IL RUOLO DI CHI FA RICERCA,
DELLE UNIVERSITÀ E DEI FINANZIATORI

Questi gruppi editoriali cannibalizzano il sistema e l’apparto di pubblicazione scientifica, che hanno un ruolo cruciale per la carriera e l’accesso ai finanziamenti di ricercatrici e ricercatori, fondati per la gran parte su misure relative alle pubblicazioni. La spinta inesorabile a pubblicare può portare a cercare vie più facili e veloci. La pubblicazione su riviste predatorie non è quindi solo dovuta a un errore o a un inganno subito, ma può essere strumentalmente sfruttata per pubblicare di più4, in un contesto molto criticato, ma tutt’ora in vigore, che vede la pubblicazione su riviste molto citate, per esempio, una misura del successo di chi fa ricerca.

Da diversi anni, inoltre, le agenzie di finanziamento pubbliche, a partire dalla Commissione europea, chiedono che gli articoli degli studi finanziati siano pubblicati su riviste ad accesso libero. Sfruttare questo contesto inserendosi tra le maglie dei criteri di qualità delle pratiche editoriali, fino ad arrivare a comportamenti fraudolenti, è il modo in cui questi gruppi si propongono sul mercato. Un mercato, dove il gruppo editoriale Elsevier la fa da padrone, che vale ogni anno 25 miliardi di dollari, con una capacità di produrre reddito paragonabile solo a quella dell’industria farmaceutica6.

Per arginare, se non eliminare, questo problema, tutti gli attori in gioco hanno un ruolo. I finanziatori pubblici, che vedono sprecati i fondi dedicati alle pubblicazioni degli studi finanziati, potrebbero intervenire. Un esempio tra tutti, il National Institute of Health statunitense è uno dei più grandi finanziatori involontari di OMICS, con oltre 2400 grant utilizzati per pagare i costi di sottomissione ad accesso libero su riviste appartenenti a quel gruppo editoriale6. Un modo per ridurre lo spreco di soldi pubblici sarebbe fornire linee guida a chi ha accesso ai fondi per pubblicare su riviste di qualità7.

Da parte loro, gli enti che fanno ricerca, le università dovrebbero valutare su quali riviste incentivare la pubblicazione dei propri ricercatori su riviste che seguono principi di trasparenza, di accesso libero al processo di revisione, di adesione ai principi Fair open access. Come sottolineano gli sviluppatori di Lacuna, esistono piattaforme come Public Knowledge Project’s Open Journal System che permettono la diffusione di riviste a costi limitati, supportando riviste con risorse ridotte3. Infrastrutture di editoria accademica come per esempio SciELO (https://www.scielo.org/) in Brasile e Redalyc (https://www.redalyc.org/) in Messico – forniscono riviste ad accesso libero a basso costo nelle lingue originali del Paese in cui hanno sede, sostenendo ricercatori e ricercatrici e istituzioni di Paesi più svantaggiati dal punto di vista dei finanziamenti e delle strutture di ricerca3.

Per affrontare la questione va allargata la prospettiva di azione. Sostenere una ricerca e un’editoria di qualità è una questione che va oltre le riviste predatorie, chiamando in causa i meccanismi di trasparenza in tutto il processo editoriale, l’equità di accesso alle risorse necessarie per pubblicare ad accesso libero, l’onestà di giudizio tra pari nell’ambito del processo di revisione, lo standard di qualità degli studi e del reporting.

Cinzia Colombo

Laboratorio di Ricerca
per il Coinvolgimento dei Cittadini in Sanità
Dipartimento di Salute Pubblica

Istituto di Ricerche Farmacologiche
Mario Negri IRCCS, Milano

cinzia.colombo@marionegri.it

BIBLIOGRAFIA

1. Mimouni M, Braun E, Mimouni FB, Mimouni D, Blumenthal EZ. Beall’s list removed: what stands between us and open access predators? Am J Med 2017; 130: e371-e372.

2. Brown MJI. Who will keep predatory science journals at bay now that Jeffrey Beall’s blog is gone? The Conversation, January 20, 2017. https://theconversation.com/who-will-keep-predatory-science-journals-at-bay-now-that-jeffrey-bealls-blog-is-gone-71613.

3. Siler K, Vincent-Lamarre P, Sugimoto CR, Larivière V. Predatory publishers’ latest scam: bootlegged and rebranded papers. Nature 2021; 598: 563-5.

4. Shen C, Björk BC. ‘Predatory’ open access: a longitudinal study of article volumes and market characteristics. BMC Med 2015; 13: 230. https://doi.org/10.1186/s12916-015-0469-2.

5. Grudniewicz A, Moher D, Cobey KD, et al. Predatory journals: no definition, no defence. Nature 2019; 576: 210-2.

6. L’editoria medico-scientifica oggi e i giovani. Il Pensiero scientifico editore, 30 giugno 2021, disponibile al link: https://pensiero.it/in-primo-piano/notizie/leditoria-medico-scientifica-oggi-e-i-giovani. Tratto da: “I Mercoledì della Pezcoller - Luca De Fiore “Il mondo dell’editoria medico-scientifica”.

7. Manca A, Cugusi L, Cortegiani A, et al. Predatory journals enter biomedical databases through public funding. BMJ 2020; 371: m4265.