La fiducia

Maurizio Bonati

Dipartimento di Salute Pubblica
Istituto di Ricerche Farmacologiche
Mario Negri IRCCS, Milano

maurizio.bonati@marionegri.it


La gentilezza delle parole crea fiducia.
La gentilezza di pensieri crea profondità.
La gentilezza nel donare crea amore.

Lao-tszü

sec. V a. C.


Sono stati recentemente pubblicati i risultati di un’analisi esplorativa dei potenziali fattori correlati alla prevenzione e al trattamento della Covid-19 in 177 Paesi e in particolare dei fattori che hanno impedito la diffusione del virus e la morte per malattia, condotta da un ampio gruppo di lavoro internazionale finanziato dalla Fondazione Bill & Melinda e da alcuni filantropi 1 . Sono state valutate le associazioni sia con fattori noti dell’infezione e della mortalità da SARS-CoV-2 (p. es. il profilo dell’età della popolazione, la stagionalità della malattia) che con gli indici di preparazione alla pandemia, indicatori di capacità del sistema sanitario, variabili di governance  e misure di disuguaglianza economica e fiducia delle società nel loro governo, nella scienza e nelle loro comunità. Quindi obiettivo dello studio è stato individuare le condizioni iniziali che hanno favorito il controllo della pandemia, indipendentemente da cosa e come è stato fatto. Ebbene l’elemento chiave è risultato essere la fiducia. Maggiore era la fiducia dei cittadini (interpersonale e per il governo) minore è stato il numero di infezioni. Nessun altro fattore sociale (disuguaglianza economica o fiducia nella scienza), misure di capacità statale (efficacia del governo o fragilità dello stato) o caratteristiche dei sistemi politici (democrazia elettorale o populismo) è risultato aver influito sulla variazione delle infezioni o la mortalità da malattia nel confronto tra i Paesi. Quindi è stata la fiducia a regolare gli esiti della Covid-19. I limiti dei risultati dei confronti internazionali in tema di Covid-19 sono enormi stante l’eterogeneità sia dei background che delle iniziative intraprese, la temporalità e l’appropriatezza. Anche in questo caso le perplessità non sono poche quando viene identificato il Vietnam come il Paese più virtuoso che ha mantenuto bassi livelli di infezioni e di decessi rispetto a Paesi con medie-alte risorse e sistemi sanitari più solidi grazie al livello di fiducia della popolazione. La stampa internazionale ha ripreso la notizia 2 , ma dubbi rimangono circa i bias  nel considerare variabili che non possono essere pesate-standardizzate e nell’attribuire valore alla fiducia in Paesi dove i diritti umani sono limitati 3 .

Confidare nelle altrui o proprie possibilità produce generalmente un sentimento di sicurezza e tranquillità, ma richiede legami. La fiducia è raramente assoluta, ma piuttosto limitata a situazioni particolari: necessita quindi di essere “animata”. La fiducia è un atteggiamento attivo sia quando è fantasticata (ci fidiamo di chi soddisfa le nostre aspettative) che quando è reale (qualcosa che ci sostiene, si prende cura di noi, aiuta a crescere).

Una decisione presa su una base di chiarezza su come stanno le cose (conoscenza e possibilità di intervento) e di condivisione crea consenso e partecipazione (fiducia reale), altrimenti è delega, anche oppositiva per come vorremmo che le cose fossero.

Purtroppo nei due anni di pandemia la dicotomia tra fiducia e delega, tra sapere e credere, tra l’élite supponente e televisiva degli esperti e il cronico analfabetismo scientifico e sanitario si è accentuata. “La Covid-19 è un’occasione unica per ricostruire la fiducia, senza la quale affrontare l’epidemia è estremamente difficile, se non impossibile” 4 . Purtroppo a tutt’oggi la fiducia nella scienza, nella politica, nella cultura che la Covid-19 avrebbe dovuto contribuire a recuperare è ancora da costruire. La responsabilità condivisa verso il bene comune (il legame sociale che alimenta la fiducia) è ancora da costruire. La comunicazione dei provvedimenti di contenimento e prevenzione dell’infezione, la valutazione dei risultati raggiunti, le aspettative e la definizione degli obiettivi prospettici non si può dire siano stati effettuati con il coinvolgimento, la partecipazione, l’informazione (per creare e mantenere fiducia) dei cittadini tutti. La cronica disattenzione, contraddizione e improvvisazione dei provvedimenti che hanno coinvolto l’intero mondo scolastico e le famiglie degli studenti sono indicatori di un’occasione persa per ricostruire la fiducia per un percorso educativo nuovo, aggiornato e condiviso. Il detto popolare “Bisogna fare bene le cose per meritare fiducia” 5  rappresenta, ancora una volta, un’esortazione.

La quarantena, il distanziamento, l’auto-sorveglianza hanno minato profondamente, nel corso della pandemia, le condizioni di vita basate sulla relazione tra i singoli e nella comunità, sul legame sociale, sulle relazioni personali, famigliari, professionali. La sfiducia, intesa come perdita di assertività, sebbene con intensità ed esiti diversi per ciascuno, potrà essere uno dei long-term effect  della Covid-19 facendo scoprire a molti che è la “relazione fiduciaria” il determinante comune della qualità della vita.

Uno dei cambiamenti provocato dallo scompaginamento pandemico è stato quello dei ruoli. Nello spazio di un breve tempo, p. es., molti operatori sanitari sono diventati pazienti: da curanti a presi in carico con modalità ed esiti egualitari tra pazienti. Il racconto di Gianpaolo Donzelli (box 1) è a questo proposito esemplare e rimanda con fiducia ad un long-term effect  che potrebbe vedere la relazione medico-paziente più partecipata, condivisa, “narrata”. Un cambiamento nell’affrontare e accompagnare il percorso di cura coltivato per tutta la vita professionale da Giorgio Bert (box 2). Relazioni basate sulla condivisione dei saperi, delle conoscenze che aumentano nel tempo, ma affinché siano efficaci e migliorino l’ effectiveness  devono essere partecipate. È stato l’ammonimento salutandoci di Alessandro Liberati dieci anni fa: medico diventato paziente (box 3). Tre figure particolari, minoritarie, di medici “narratori” e raccoglitori di narrazioni. Animatori di quella che dovrebbe essere una medicina (democrazia) partecipativa con il diretto coinvolgimento dei pazienti (cittadini) nei percorsi di cura e nei processi decisionali. Cittadini “consenzienti” perché (anche) informati. Cittadini fiduciosi perché attivi e non deleganti. Cittadini partecipi di una medicina (democrazia) deliberativa attraverso modelli quali le giurie dei cittadini e le conferenze di consenso con la partecipazione delle associazioni di pazienti. Esperienze care ad Alessandro Liberati seppur rimaste confinate ad alcune aree e spesso adattate a circostanze e obiettivi contingenti 6 .

Costruire, acquisire, mantenere la fiducia necessita quindi l’attivazione di processi condivisi e partecipati perché la fiducia è un sentimento bidirezionale. C’è bisogno di una diversa fiducia 7 .


1. COVID-19 National Preparedness Collaborators. Pandemic preparedness and COVID-19: an exploratory analysis of infection and fatality rates, and contextual factors associated with preparedness in 177 countries, from Jan 1, 2020, to Sept 30, 2021. February 01, 2022. https://doi.org/10.1016/S0140-6736 (22)00172-6

2. Taylor A. Researchers are asking why some countries were better prepared for covid. One surprising answer: Trust.  The Washington Post, February 01, 2022.

3. Risoluzione del Parlamento europeo del 21 gennaio 2021 sulla situazione dei diritti umani in Vietnam. https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/ TA-9-2021-0029_IT.pdf

4. Vineis O, Savarino L.  La salute del mondo. Milano: Feltrinelli, 2021.

5. Bel Paese Galbani con Johnny Dorelli 1966. https://it-it.facebook.com/ CaroselloCollection/videos/bel-paese-galbani-con-jhonny-dorelli-1966/64579 6385587251/

6. D’Amico R, Davoli M, De Fiore L, Grilli R, Mosconi P. La sanità tra ragione e passione. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2013.

7. Spinsanti S. Una diversa fiducia. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2022.


In corsia con polmonite da Covid-19:  io, medico, divento paziente


L’ anno nuovo mi porta subito il suo regalo: entro in barella nel reparto di medicina interna dell’ospedale Santa Maria Nuova, diretto da Giancarlo Landini, per insufficienza respiratoria ipossiemica in corso di polmonite da Covid-19.

Sono ricoperto dalla carta termica “d’oro”, che mi dà calore, mi sento smarrito in questa nuova, repentina metamorfosi che da cittadino e medico mi trasforma in paziente. Sotto il peso della malattia ogni sensazione mi arriva filtrata, intorno a me persone che, per la comune professione, mi riconoscono, mi incoraggiano, ma, paradossalmente, vorrei essere anonimamente quello che sono: un paziente uguale agli altri pazienti, un malato con la stessa incertezza, la stessa paura: quella di non farcela, questa volta.

Un malato tra tanti, troppi purtroppo, ma prima ancora una persona, che ansimando chiede, prima di tutto, di essere riconosciuta e rispettata nella sua fragilità, nel corpo e nello spirito. Medici, infermieri, OCS agiscono rapidi e precisi, l’attenzione e l’impegno che dimostrano attenuano in me il timore del momento.  Il rigore professionale dei sanitari, rafforzato dalla loro umana partecipazione, fa sì che il tempo della cura passi rapidamente, l’affanno del respiro si faccia sentire di meno, la corsia dei letti e gli altri malati appaiano quasi familiari.

Mi informo sulle condizioni di questi ultimi, condivido con loro impressioni e speranze, non i soliti convenevoli, ma sincera partecipazione, presi come siamo in un comune destino. Quando la notte avvolge tutto il reparto con la sua oscurità, la paura ritorna, mitigata dal brusio rassicurante del personale di assistenza. Mi sopraggiungono alla mente i pensieri più disparati, ma tutti tristi. Nel mio agitato dormiveglia faccio una sorta di ricapitolazione delle cose lasciate a metà, dei tanti rimpianti, degli altrettanti buoni propositi.

Sono le telefonate che arrivano da fuori a scandire il passare dei giorni, infinitamente lunghi e uguali, se non fosse per l’ottimismo dei medici, le evidenze cliniche favorevoli, che preludono il momento delle dimissioni.  Lascio l’ospedale con la consapevolezza di aver ricevuto cure esemplari, come una persona e non come riduttivamente parti di un corpo malato. Mai come durante questa pandemia abbiamo capito come la medicina si muove,  lo vogliamo o no, fra scienza, società e politica. Curare è perciò faccenda ben più complessa che visitare, diagnosticare e prescrivere.

Lo scrive un medico che dopo decenni di “corsia” si è trovato a lasciare il camice per un pigiama, a vivere gli aspetti psicologici e spirituali che intervengono sull’esordio della malattia, nel suo decorso e nei suoi esiti. L’ispirazione umanitaria, che sempre ha indirizzato la mia professione, ha trovato piena conferma fra le mura di Santa Maria Nuova,  è diventata una realtà personalmente vissuta, lasciandomi dentro una gratitudine indelebile, tanta è stata la cura professionale ed umana ricevuta.

Gianpaolo Donzelli

La Repubblica (edizione Firenze),  22 gennaio 2022


La medicina narrativa come intervento di cura


L a medicina narrativa è un intervento che si ritiene abbia un effetto di cura: non è un mero lavoro letterario, è un intervento terapeutico, oltre che relazionale. E se può avere un effetto di cura, è quello che andrebbe valutato. Il paziente ha diritto di essere presente a pieno titolo nella relazione di cura. Questo permette una visione sistemica del paziente in quanto elemento di un contesto più ampio: familiare, sociale, ambientale. Nella storia clinica classica, l’anamnesi, il medico racconta la storia del paziente in funzione della diagnosi. In una forma narrativa aperta, compaiono i sistemi di riferimento del paziente. Compare il paziente come persona vera e propria, e non come malato. Ma il medico deve sapere usare la medicina narrativa in una visione sistemica e non medico-centrica. Spesso il fatto stesso di narrare produce benessere: narrare aiuta a mettere ordine nel caos, e nel caos si sta male. Tutti questi aspetti hanno fatto della medicina narrativa uno strumento di cura completo. La medicina narrativa è nata come intervento di cura, e per me continua a essere quello.

Al termine dei corsi che tengo ai giovani medici sull’uso della narrazione, chiedo loro quali vantaggi hanno osservato nella relazione col paziente usando lo strumento narrativo, e per molti medici è stata sicuramente una scoperta inattesa.  Una migliore comunicazione inizia molto lentamente a comparire nella pratica medica, ma il rapporto medico-paziente è ancora lasciato alla spontaneità. I professionisti escono dall’università e non sanno come rapportarsi col malato, tantomeno come  farlo narrare.

Giorgio Bert

Medicina narrativa.  Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2007.





È necessario riallineare la ricerca orientata al paziente  sia quella commerciale che accademica

L a ricerca clinica è motivata da diversi fattori. Alcuni maggiormente difendibili di altri. Tuttavia la maggior parte dei ricercatori clinici affermerebbe che la loro ricerca intende migliorare l’efficacia e la sicurezza delle cure. Ci sono esempi nei quali i pazienti riescono a influenzare ciò che viene studiato, ma in realtà queste sono solo delle eccezioni.

Ho avuto l’opportunità di prendere in considerazione, da più punti di vista, il divario esistente tra quello che i ricercatori studiano e quello di cui i pazienti hanno davvero bisogno. Io sono un ricercatore, ho la responsabilità di assegnare fondi per la ricerca e ho avuto un mieloma multiplo negli ultimi dieci anni. Pochi anni fa ho dichiarato pubblicamente che le incertezze incontrate all’inizio della mia patologia si potevano evitare. Quasi dieci anni dopo – dopo una ricaduta – ho una revisione degli studi pertinenti il mieloma multiplo sul sito ClinicalTrials.gov. Ho identificato 1384 studi, di questi 107 erano studi comparativi di fase II o III. Solo 58 avevano come obiettivo la sopravvivenza globale, di cui solo 10 come obiettivo primario. Nessuno studio clinico riguardava confronti tipo “testa a testa” tra diversi farmaci o tra diverse strategie.  Nel frattempo, gli esperti ritengono che gli studi citogenetici e i profili di espressione genica metteranno in luce trattamenti personalizzati per il mieloma, mentre le aziende farmaceutiche evitano la ricerca che potrebbe mostrare che i farmaci nuovi e più costosi non sono migliori di quelli già presenti sul mercato.

Se vogliamo che informazioni più pertinenti diventino disponibili è necessaria una nuova governance  della strategia di ricerca. Non si può pretendere che i ricercatori, abbandonati a sé stessi, affrontino l’attuale squilibrio.  I ricercatori sono intrappolati all’interno dei loro interessi – professionali e accademici – che li portano a competere per finanziamenti dell’industria farmaceutica per fasi precoci di trial che di studi strategici, di superiorità e di fase III.

Non sono i gruppi di pazienti a modificare il modello prevalente di ricerca data la mancanza di meccanismi espliciti per la prioritizzazione della ricerca. Sono così gli esperti a decidere, anche per interessi personali. Né il solo finanziamento pubblico riuscirebbe a risolvere il problema.  È necessario sviluppare politiche nella fase di pre-approvazione dello sviluppo di un farmaco e questo processo necessita di una stretta collaborazione con le aziende farmaceutiche e continui input degli organismi regolatori.

Una componente essenziale di ogni nuovo modello di strategia sarebbe quella di riunire tutte le parti interessate, partendo da un’analisi delle ricerche esistenti e in corso, prodotte indipendentemente da ogni interesse personale. Le associazioni di pazienti affetti da mieloma spendono milioni per sostenere la ricerca con la speranza di promuovere una migliore assistenza.  Con il supporto della collettività dovrebbero essere in una posizione di forza per chiedere una ridefinizione dell’agenda di ricerca nell’interesse dei pazienti. Spero che questo approccio possa essere ulteriormente discusso su The Lancet  per molte altre aree della ricerca clinica e non solo in oncologia.

Alessandro Liberati

Lancet 2011; 378: 1777-8.


La morte è una consapevolezza che ci portiamo dentro dal momento della nascita. Il momento è determinato da un insieme, a volte semplice spesso complesso, di fattori indipendenti. Così la chiusura tipografica del numero di fine anno di R&P con il tradizionale editoriale della/alla memoria non era completo.  Red


MEDICINA Ascolto  attivo e non semplice beneducato stare a sentire.  Dialogo  e non alternanza o somma di monologhi. Rispetto  per ciò che il paziente porta: per quanto stravagante o irrazionale ci possa sembrare, esso ha senso per lui. Umiltà  da parte del professionista: uno scienziato non ha certezze, né dogmi, né verità assolute.  Generosità : non basta comportarsi come se dell’altro ce ne importasse; occorre che ce ne importi davvero”, le cinque parole chiave di  Giorgio Bert  (1933) per una effettiva relazione medico-paziente condivisa a partire dalla narrazione della propria salute da parte del paziente.


ARTI E MESTIERI  – “Inspirando, sono consapevole del mio corpo”  Thich Nhat Hanh  (1928) monaco buddhista vietnamita, popolare maestro Zen, per decenni costretto all’esilio per il suo impegno pacifista. Fu candidato da Martin Luther King al premio Nobel per la Pace. Ha divulgato la mindfulness , consapevolezza, e lo ha fatto con la semplicità dello zen: quando mangi mangia, quando cammini cammina, quando mediti medita. “Bastano tre respiri”. La mindfulness  è diventata con il tempo anche terapia in ambito psicologico, con alcuni studi di efficacia che necessitano di implementazione.

“Non mi interessa raccogliere briciole di compassione gettate dal tavolo di qualcuno che si considera il mio padrone. Io voglio il menu completo dei diritti”.   Desmond Tutu  (1931) arcivescovo anglicano, Nobel per la Pace nel 1984, una delle eroiche figure della lotta contro l’apartheid, per un Sudafrica libero. All’apartheid e al genocidio della sua gente contrapponeva  Ubuntu , una parola della lingua nguni-bantu con vari significati. Nella famiglia è la solidarietà e la prossimità di soccorso; nel villaggio è la cooperazione e il senso collettivo di appartenenza; nella nazione è lo spirito comunitario e il riconoscimento politico di essere intessuti in una Rete sociale e naturale nonché la consapevolezza. Come dice un motto in alcune lingue sudafricane  motho ke motho ka motho yo mongue , ovvero che «una persona è una persona in quanto relazionata ad altre persone». È stato una voce potente nella lotta contro l’AIDS, combattendo la negazione, chiedendo l’accesso alle cure per tutti, lottando contro la discriminazione delle persone che vivono con l’HIV e difendendo i diritti umani di lesbiche, gay, bisessuali e transgender, donne e bambini. Il suo lavoro sulla prevenzione e il trattamento dell’HIV e della tubercolosi hanno contribuito a cambiare i paradigmi globali per la prevenzione e il trattamento e a salvare molte vite.