Liberi di scegliere

Pediatra e Parlamentare, Commissione bicamerale infanzia e adolescenza, Direttore UOC Pediatria 1,  Ospedale Santobono, Napoli – siani.paolo@gmail.com


La procuratrice capo della procura per i minorenni di Napoli, Maria de Luzenberger, rivelando l’alto numero di bambini campani che abbandonano la scuola, ha evidenziato che, dietro ognuno di questi che non frequenta le lezioni, ci sono situazioni di grave disagio familiare. Si tratta di famiglie nelle quali spesso anche i genitori, prima dei figli, non hanno completato alcun ciclo di studi, per non parlare delle situazioni di violenza domestica o collegate ad attività criminali come lo spaccio di stupefacenti.

E il fenomeno non è soltanto napoletano o campano, infatti l’Italia con il 13,1% di giovani che abbandonano prematuramente gli studi è il quarto Stato europeo per incidenza del fenomeno.

In generale le regioni del sud risultano più in difficoltà anche se nel Mezzogiorno si sono registrati i progressi più significativi rispetto al 2019.

La stessa procuratrice fornisce alla politica una chiave di lettura e una strada per intervenire.

In sostanza, già sappiamo quali sono i bambini che non frequenteranno la scuola perché già conosciamo le loro famiglie. Ricordate il progetto “Liberi di scegliere”, dove i magistrati dei minorenni sottraevano alle famiglie quei ragazzi che venivano cresciuti secondo un’educazione ndranghetista e che avevano già un nonno, un padre o altri fratelli sulla strada del malaffare?

Liberi di scegliere. Questa è la frase chiave. Un bambino che nasce in una famiglia in stato di disagio sociale non può che scegliere l’unica strada che vede davanti a sé, quella che ritiene la scuola inutile e poco attraente.

E allora, prima di parlare di ampliamento del tempo scuola che è decisivo e fondamentale, dobbiamo provare a portarceli a scuola questi bambini.

I numeri ci mostrano che la povertà educativa è talmente diffusa che un solo organismo non può riuscire ad affrontare il problema. Occorrono invece il supporto di tutti e una convergenza di azioni.

I patti territoriali educativi possono venirci incontro.

La dispersione (e poi l’abbandono) scolastica non è solo un problema della scuola e non può essere solo la scuola a provare a risolverlo.

Esistono, come è noto, cause esterne al contesto scolastico-formativo, che attengono alla sfera personale, familiare e all’ambiente socio-culturale e socio-economico di appartenenza del bambino.

Quindi è un problema dell’intera comunità.

E allora si tratta di iniziare a intervenire alla nascita di ogni bambino e seguirlo in maniera specifica e a seconda delle necessità fino ai 18 anni. Su questo bisogna fare un patto educativo con le tante organizzazioni del terzo settore che svolgono un lavoro encomiabile ma con la regia attenta e partecipe del Comune.

Questo è il senso di un’agenzia dell’infanzia alle dirette dipendenze del sindaco che possa far lavorare insieme e in maniera coordinata tutte quelle organizzazioni pubbliche e private che si occupano del tema in questione, a cominciare dai pediatri che vedono alla nascita tutti i bambini e che conoscono molto bene le loro famiglie ma che si limitano, non potendo fare altrimenti, a seguirli dal punto di vista sanitario.

Questa è la sfida da raccogliere oggi e ci sono esperienze in Italia, e a Portici in particolare, grazie all’impegno del compianto Peppe Cirillo, dove i progetti di intervento precoce nei primi mille giorni di vita sono in corso con ottimi risultati 1 .

Occorre il supporto di tutti e una convergenza di azioni, evitando duplicazioni di interventi che rischiano di sovrapporsi, con un’unica regia pubblica, affidata al Comune. Questo è quanto stiamo chiedendo anche a livello parlamentare con la mozione “infanzia”, che con l’impegno  n. 8 chiede al Governo, con specifico riferimento alla fascia 0-6 anni, di adottare iniziative per indirizzare maggiori investimenti al periodo compreso tra il concepimento e la prima infanzia ( act early ), in accordo con quanto previsto dal documento sui primi 1000 giorni («Investire precocemente in salute: azioni e strategie nei primi mille giorni di vita»), elaborato dal Ministero della Salute e approvato nel mese di gennaio 2020 dalla Conferenza Stato-Regioni;  ad adottare iniziative per estendere i servizi educativi per bambini di età compresa tra 0-3 anni, potenziando la rete dei servizi pubblici e prevedendo interventi dedicati a promuovere la genitorialità responsiva mediante la sinergia tra pubblico e privato nell’ambito dei piani educativi 0-6 anni previsti dal decreto legislativo n. 65 del 2017.


1. Cirillo G. Il bambino trascurato. Ricerca&Pratica 2021; 37: 62-74.





Il parlamentare  semplice

Voglio raccontarvi l’elezione del capo dello Stato da parte di un parlamentare “semplice”: uno di quelli che quando esce dalla Camera non viene inseguito dai giornalisti e che comunque cerca di uscire da porte laterali; uno di quelli che non partecipa alle riunioni ristrette nelle stanze dei partiti, ma esprime il suo parere attraverso incontri e discussioni in aula; uno di quelli che si confronta con i tanti altri parlamentari che poi sono professori universitari, avvocati, professionisti, volontari di associazioni del terzo settore, insegnanti, insomma tecnici della società civile prestati alla politica.

L’idea di coloro che assistevano un po’ increduli al valzer dei nomi che veniva fatto ogni giorno era quella di non modificare troppo l’attuale asse di governo, sorto dopo i fallimenti della politica. Del resto, chi durante una guerra cambia i suoi generali che stanno portando con fatica il Paese fuori dalla stessa guerra?

E così, dopo la quinta votazione senza esito, proprio i parlamentari semplici hanno iniziato a scrivere un nome su quella scheda senza seguire l’indicazione precisa dei partiti, finché alla sesta votazione gli stessi parlamentari semplici hanno offerto ai leader, che non riuscivano a trovare un accordo, una delle possibili soluzioni, votando in tanti e a sorpresa Mattarella con 336 preferenze.

Una scelta che potrà non piacere, ma che sembrava a quel punto la più razionale e forse la più praticabile, dal momento che erano saltate tutte le candidature fatte fino al giorno prima e che tendevano, chi più chi meno, a distruggere la maggioranza di Governo e a far sì che il Paese, per un periodo più o meno lungo, sarebbe stato fermo. Fino a quando i leader, che non erano in grado di convergere su un nome, avessero trovato una via d’uscita, mettendo a dura prova le persone che stanno combattendo da due anni ormai con una crisi sanitaria, economica e adesso anche energetica.

Questa ci sembrava, in un momento così difficile e straordinario, una soluzione logica, che consentiva al Governo e a Draghi di continuare a lavorare e portare l’Italia fuori dalla pandemia e rilanciare l’economia grazie al PNRR, che richiede nei prossimi mesi impegni decisivi.

“Insieme i due presidenti hanno avuto il compito e il peso di affrontare la pandemia, riavviare la crescita economica, infondere fiducia ai cittadini in uno dei momenti più difficili della nostra storia repubblicana. Che la loro azione vada avanti è una garanzia per il futuro", ha scritto Fontana sul Corriere della Sera.

Quei 336 voti arrivati inaspettati, dal basso, in una fase pericolosa di stallo, hanno fatto capire ai leader che non si poteva perdere altro tempo e che in fondo quella era certamente la soluzione migliore per il Paese.

Il fatto che siano stati i rappresentanti dei gruppi parlamentari a salire al Colle a chiedere a Mattarella la disponibilità a un secondo mandato, e non i leader dei partiti, è il segnale di questa piccola, grande rivoluzione.

E quando ha accettato l’incarico conferitogli da oltre i due terzi dei grandi elettori, il Presidente Mattarella ha dichiarato: “Troppe emergenze, ho il dovere di non sottrarmi”.

In una fase storica in cui predomina l’antipolitica e ogni scelta del Parlamento viene banalizzata riconducendola al tornaconto personale, che certo ci sarà per una percentuale dei parlamentari, la scelta del presidente della Repubblica spinta e guidata dal basso, da quei parlamentari che non hanno bisogno di riconferme, né di un posto di lavoro, ha un senso diverso.

E dimostra che esiste un bisogno, e una voglia diffusa, di più politica. Di quella politica fatta di piattaforme, programmi, partecipazione e inclusione. E non di tavoli riservati, elenchi della spesa di candidati, prove di forza muscolari. Politica e cervello, invece di demagogia e muscoli, come ha scritto il mio collega Paolo Lattanzio.

È stata per me un’esperienza davvero straordinaria partecipare all’elezione del capo dello Stato da parlamentare che non sta lì a schiacciare bottoni, come in troppi ci raccontano, ma che pensa, discute e prova a indirizzare le scelte della politica, come prevede la Costituzione.

È per queste ragioni che sono orgoglioso del lavoro fatto in quella settimana a Roma e del piccolo contributo che ho fornito insieme ai miei colleghi, riaffermando la centralità del Parlamento, cosa che non è stata raccontata a sufficienza dalla stampa, a volte più propensa al pettegolezzo, all’intervista al volo fuori al ristorante, alla battuta ad effetto a cui si prestano i leader politici. Ma non stavamo scegliendo il capoclasse e c’era bisogno di più sobrietà e più riflessione.

Io che tra un anno termino il mio mandato parlamentare e che molto probabilmente non continuerò la mia esperienza politica, come avevo detto già in campagna elettorale 4 anni fa, auspico davvero che altri professionisti, altre voci della società civile vadano a occupare i banchi parlamentari per elevare il livello della politica e portare le istanze vere dei cittadini nelle stanze dove si decidono i destini di un popolo.

E infine, confermare al Quirinale con il mio voto un Presidente fratello di una vittima di mafia ha per me un

valore davvero particolare.


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