L’alloggio è  un determinante sociale della salute

Un alloggio sicuro e conveniente è un fondamento di buona salute; è essenziale per la capacità delle persone di prosperare a scuola e al lavoro ed è necessario per costruire famiglie e comunità forti. I mercati e le politiche immobiliari non sono riusciti a fornire alloggi sufficientemente abbordabili e affrontano la carenza di alloggi con la pratica legale forse più crudele e iniqua: lo sfratto. Alcune famiglie si trasferiscono da sole dopo una minaccia di sfratto, poiché una dichiarazione di sfratto ostacolerebbe sostanzialmente le loro future ricerche di alloggi. La pandemia di Covid-19 ha evidenziato lo sfratto come una crisi di salute pubblica e ha esacerbato il problema. Il governo ha risposto con la moratoria sugli sfratti, ma ora con il ritorno degli sfratti e la pandemia Covid-19 persistente il diritto alla casa diventerà ancor più inevaso rispetto alla situazione pre pandemica.

Finché gli affitti rimarranno troppo alti e i redditi troppo bassi, il sistema abitativo continuerà a deludere troppe persone. L’imperativo è utilizzare la politica abitativa per sostenere l’equità sanitaria dove tutte le persone possono avere alloggi sicuri e convenienti in quartieri integrati con accesso ai servizi di base e una discreta possibilità di mobilità sociale. L’alloggio è troppo spesso visto come un bene o un’attività, piuttosto che come un determinante sociale della salute. Garantire a tutti una casa sicura e stabile è un elemento essenziale per la salute. Red.

Dopo una lunga stagione di politiche abitative e fiscali che hanno incentivato la casa in proprietà e dopo le dissennate operazione di cartolarizzazione che hanno visto, almeno dagli anni Novanta del secolo scorso, l’alienazione e la frammentazione di consistenti patrimoni immobiliari pubblici e privati – da sempre prevalentemente destinati all’affitto di proprietà delle Aziende per l’edilizia residenziale pubblica così come delle grandi società assicurative, degli enti previdenziali o delle banche –, il tema della casa in affitto nei grandi centri urbani è tornato a porsi come problema, tanto più con il crollo di livello planetario legato alla pandemia dell’ultimo anno. La mancanza di equilibrio tra i patrimoni di proprietà, o comunque destinati alla vendita, e quelli rivolti all’affitto accessibile, ha di fatto aperto una pesante crisi delle dinamiche urbane, lasciando senza risposte quella parte di cittadini appartenenti alla classe media e medio-bassa, per scelta o per necessità, non ha investito nell’acquisto di una casa. Questo ha collocato il mercato residenziale privato dall’affitto in una posizione di grande forza che gli ha permesso di dettare le regole e stabilire i prezzi, quasi sempre principalmente nelle grandi città, inaccessibili ai più.




La possibilità che la casa in affitto rappresenti una condizione contemporanea nella quale non si riversino più solo le esigenze dei nuclei familiari, ma anche quelle dei singoli individui per le caratteristiche di maggiore flessibilità della società, controbilanciata dall’insufficienza di un’offerta ampia di alloggi a prezzi accessibili, è stata la lettura che ci ha portato, già a partire dal 2015, a intraprendere la ricerca For Rent  affittasi. Tra domanda e offerta di affitto sociale. L’intenzione era quella di indagare la nuova collocazione del mercato dell’affitto accessibile in una città come Milano, volendo osservare, in parte in controtendenza, l’offerta abitativa del mercato pubblico e privato piuttosto che la domanda. Gli esiti della ricerca hanno restituito un quadro nel quale il patrimonio pubblico ricopre ancora un ruolo importante nel mercato dell’affitto in città e, mentre lo stock di enti e società è andato riducendosi, la proprietà individuale è aumentata sino a costituire il 78,5% della riserva edilizia complessiva. Questo ci ha portato a sottolineare il ruolo strategico del patrimonio pubblico, che dovrebbe essere assunto oggi come un capitale edilizio da curare e valorizzare, verso una idea di città inclusiva e delle differenze. Ci ha portato inoltre a interrogarci sulla possibilità di riflettere e intervenire anche su altri patrimoni “sommersi”, come quelli dei grandi e medi proprietari, che di fatto coprono ancora, almeno in parte, quote di domanda non di mercato. D’altra parte su questi patrimoni, come su quelli più frammentati dai piccoli proprietari, il mercato dell’affitto ha anche trovato nuove declinazioni attraverso le piattaforme dei super-host  oramai ampliamente diffusi in tutta Europa. Si tratta di multi proprietari che gestiscono più di 20 annunci immobiliari per affitti brevi, spesso anche con contratti di subaffitto e che, nella sola città di Milano, hanno visto negli ultimi otto anni una importante crescita del loro fatturato.  Il fenomeno, che ha fatto della temporaneità legata prevalentemente al turismo il suo punto di maggior forza, ha trovato l’interesse anche di alcuni piccoli proprietari privati che hanno investito nell’acquisto di alloggi medio-piccoli da destinare, appunto, agli affitti brevi per arrotondare il bilancio familiare.

Queste nuove opportunità, se da una parte garantiscono le medie e grandi proprietà che faticano a manutenere e gestire il proprio patrimonio e le tutelano dai problemi legati alla possibile morosità degli inquilini, dall’altra sottraggono ulteriore mercato a chi cerca casa in affitto a costi accessibili. Ed è stato proprio all’interno di questa cornice, e con la volontà di dare risposte a questa difficile situazione creatasi in città, che ha preso avvio l’iniziativa promossa da Fondazione Cariplo all’interno del bando “Welfare in azione” e concretizzata nel 2018 nel progetto triennale “Milano 2035. Questa volta il target di riferimento era quello dei giovani di età compresa tra i 20 e i 35 anni, lavoratori e studenti fuori sede che si stanno sperimentando in percorsi di autonomia lavorativa e abitativa. Una delle questioni, quella dell’abitare giovanile, che rappresenta una parte importante di domande di casa in affitto in città e una grande risorsa per il territorio, ma che sul mercato fatica a trovare un’offerta articolata ed economicamente sostenibile.

Nel corso dell’attività di ricerca, l’emergenza sanitaria sopraggiunta ha determinato trasformazione in importanti contraccolpi interni al mercato degli affitti in tutte le grandi città e il quadro è in parte cambiato. La necessità di attrezzarsi con il lavoro a distanza ha provocato la crisi degli spazi di retail  e degli uffici; l’introduzione della didattica a distanza per gli studenti universitari e l’interruzione dei flussi turistici hanno visto le disdette dei contratti d’affitto stipulati sia per tempi medi che per pochi giorni; la città di Milano ha complessivamente perso, nel 2020, 13mila abitanti.

Le domande sorgono molteplici ed è evidente che le circostanze attuali si riflettano e si rifletteranno sull’abitare in maniera pervasiva ristrutturando il mercato immobiliare e orientandolo maggiormente, questa è la speranza, verso i bisogni abitativi dei residenti locali e meno verso un consumo distorto delle città, dettato principalmente dalla monocultura del turismo e mentre in altre città europee il blocco turistico causato dal Covid-19 è diventato l’opportunità per rianimare i centri urbani e per incentivare il ritorno degli abitanti residenti ponendo un freno alle oramai incontrollabili politiche di affitti e subaffitti distanze e di piccoli alloggi per pochi giorni, nel nostro Paese sembrerebbe che l’occasione si è stata solo parzialmente colta.

Durante l’emergenza, gli unici provvedimenti intrapresi a livello nazionale sono stati: il blocco degli sfratti, misura necessaria e oggi arrivata alla sua quinta proroga dalla quale se ne prevede un’uscita graduale, ma che vede le sue ricadute negative soprattutto sui piccoli proprietari, alimentando in questo modo una “guerra tra poveri”, e quando la misura sarà sospesa genererà improvvisamente una grande quantità di famiglie e singoli individui senza più un tetto sotto cui vivere e ai quali dovere dare risposte; il bonus del 60% per gli affitti commerciali attraverso il credito d’imposta cedibile al proprietario dell’immobile; il bonus affitti che prevede un contributo massimo di 1200 euro a fondo perduto, e comunque pari al 50% della retribuzione accordata, per i proprietari disposti a ridurre il canone di locazione all’inquilino.

Quelli brevemente tracciati sono i temi trattati nel libro. Il testo raccoglie voci diverse, che offrono punti di osservazione privilegiati sulla questione della casa accessibile nella città di Milano, con l’obiettivo di restituire un quadro ampio e articolato di questioni che meritano di essere affrontate. Le criticità legate ai temi dell’abitare e della sua sostenibilità economica e ambientale, la carenza di alloggi pubblici e la loro mancata manutenzione, la domanda crescente di alloggi in affitto a costi accessibili e la difficoltà del pubblico a darne risposta dopo avere per troppo tempo favorito il mercato privato che oramai ne detiene l’offerta, la richiesta di una qualità abitativa ambientalmente sostenibile e dignitosa fatta di aria, luce, vista del cielo, di spazi aperti da vivere, pubblici e privati, ma anche di reti infrastrutturali e di connessioni internet disponibili, efficienti e ramificate, di servizi di prossimità e di legami locali, tutte questioni che l’emergenza sanitaria ha evidenziato come aspetti importanti della quotidianità, sono i temi che a questo punto attendono i fondi europei del Recovery 2021-27 per essere affrontati e, si spera risolti, una volta per tutte.

Tratto dall’Introduzione.



Metti una sera di gennaio  a Torino

Riflessioni sulla Salute del mondo


Davvero difficile, quasi impossibile, affrontare una riflessione sulla pandemia che esuli dalla cronaca e si interroghi sugli scenari futuri, senza evocare in parallelo la crisi climatica. Emergenza acuta l’una, mentre l’altra si dispiega nel tempo, i due fenomeni sono comunque apparentati dall’impatto sul futuro, dalla dimensione globale, dalla complessità che li definisce e dalla difficoltà di trovare soluzioni eque e sostenibili. Non sfugge a questa comunanza l’ultimo libro dell’epidemiologo Paolo Vineis, scritto insieme al filosofo e bioeticista Luca Savarino, che lo chiarisce bene a cominciare dal titolo: La salute del mondo, ambiente, società, pandemie .

L’idea di una sostanziale continuità tra la salute del pianeta e quella dell’uomo attraversa tutto il libro, che declina l’ormai consolidato concetto di  one health  insieme a quello di one ethic , chiamandoci tutti a una responsabilità comune e proponendo di sostituire all’idea di lottare contro  qualcosa o qualcuno, quella di mobilitarsi per  un bene da salvaguardare: la salute del mondo, per l’appunto.

Ma quando i tempi sono maturi, le idee che si assomigliano si rincorrono e ne è riprova il fatto che più o meno nei giorni in cui usciva il libro di Vineis e Savarino, Rai 3 ha proposto tre puntate di uno spettacolo a metà strada tra documentario e teatro, affidato al genio creativo di Marco Paolini, coadiuvato dal sapere dell’evoluzionista Telmo Pievani. Titolo del programma: La fabbrica del mondo 1 . Così simile all’altro perché delle stesse idee si parla: il peso dell’uomo sul futuro del Pianeta, esplicitato dalla crisi climatica e da quella pandemica, e la necessità di porvi rimedio attraverso l’assunzione di una nuova idea di responsabilità. Comuni i contenuti, diversa la formula narrativa, un libro dotto, arricchito di molte citazioni filosofiche l’uno, uno spettacolo che coniuga informazioni ed emozioni l’altro (le tre puntate si possono ancora vedere sulla piattaforma Raiplay 2 ).  


QUEL CHE CI TOCCA

Dell’enormità della sfida che ci troviamo a fronteggiare si è discusso in una serata di fine gennaio a Torino, nel corso di una presentazione del libro al Circolo dei lettori, presenti, oltre agli autori l’immunologo Guido Forni e il giurista Gustavo Zagrebelsky. Con una buona partecipazione di pubblico disposto a farsi coinvolgere nella discussione. Ed è un buon segno, perché se le relazioni reciproche (e non solo tra umani) sono rappresentate da una rete e se tutti i viventi sono interconnessi, come ci ha ricordato Luca Savarino, «occorre che le responsabilità siano condivise». Il come è ancora da mettere a fuoco.

«Le politiche andranno gestite secondo modalità innovative, ma una cosa è chiara: non esistono soluzioni semplici per problemi complessi» ha puntualizzato Paolo Vineis, nel ribadire che il libro non vuole essere polemico,  ma nemmeno consentire di chiudere gli occhi sulla complessità.

D’altra parte la narrazione sociale su come è stata affrontata la pandemia finora ha preso in considerazione sostanzialmente solo due approcci contrapposti: l’idea di solidarietà da una parte e quella di autorità dall’altra. «Ma chi se ne fa carico nella politica? Quello che sta succedendo in questi giorni è che ci stiamo dividendo tra di noi, quindi un processo inverso a quello della solidarietà», chiosa Zagrebelsky. La domanda rimane aperta: si può affrontare la sfida pandemica tenendo ferma la democrazia e in particolare una democrazia che ama la libertà? «Cruciale accostare al tema della solidarietà, quello dell’uguaglianza, con azioni e interventi concreti. Per esempio, le misure messe in atto per controllare la pandemia non colpiscono tutti allo stesso modo, occorre riequilibrare questa diseguaglianza con un grande piano di equità sociale», insiste il giurista.


COME USCIRE DALLA TRAPPOLA  DEL PROSSIMALE?

A rendere il quadro più complicato: la “trappola del prossimale”, cioè la difficoltà di pensare a soluzioni e interventi che non guardino solo all’orizzonte corto dell’immediato e da cui è davvero difficile immaginare come uscire, riflette Guido Forni. Una trappola che vale tanto per la crisi pandemica, quanto per quella climatica.




Per esempio: «Alla Cop 26 si è ragionato di due approcci: la mitigazione e l’adattamento. Il primo significa guardare al futuro, pensare alle nuove generazioni, mettendo in atto quelle misure che possono ridurre l’impatto del cambiamento climatico. L’adattamento si concentra invece sul presente. «Ebbene, a Glasgow si è deciso di destinare metà delle risorse a un approccio e metà all’altro», racconta Vineis. Difficile dire se sia un equilibrio accettabile tra le esigenze prossimali e quelle del futuro…

Forse il limite principale del libro è proprio quello di porre più domande che suggerire risposte, per esempio a proposito dei processi della cosiddetta democrazia deliberativa, richiamati come valido strumento per coinvolgere i singoli e le comunità in quella assunzione di responsabilità che abbiamo capito che ci spetta se vogliamo che le cose cambino. E che tuttavia rimangono nel vago quanto a metodologia e praticabilità.

«Occorre che le comunità siano pienamente consapevoli, coinvolte e preparate ad adeguarsi alla nuova normalità», dichiarava Tedros Adhanom Ghebreyesus, segretario generale dell’Oms, quando alla fine della primavera 2020 si prospettava la possibilità di uscire dal primo lockdown. Sono passati quasi due anni, ma non si può dire che si siano fatti molti progressi in questa direzione. Perciò se è sacrosanto richiamare un maggior esercizio di democrazia deliberativa, è altrettanto importante che ci diciamo che è bene che la riflessione vada avanti. Siamo ben lontani dall’aver finito.

Eva Benelli

Zadig, Roma

benelli@zadig.it


1. https://www.scienzainrete.it/articolo/fabbrica-del-mondo-viaggio-dentro-comunicazione-della-scienza/eva-benelli/ 2022-01-11

2. https://www.raiplay.it/programmi/lafabbricadelmondo