La Fiducia: festival e progetti

Tempo di festival: spuntano numerosi, come funghi in autunno. A differenza dei funghi, però, non ce ne sono di velenosi. Al più, noiosi. Non è il caso di un festival che merita una menzione speciale: il Piccolo Festival della Fiducia, che si è svolto a Pisa. Si è presentato con modestia, con l’aggettivo piccolo che sta stretto al grande tema. Per prendere ulteriormente le distanze dall’enfasi, ha scelto un sottotitolo scherzoso: “Fidarsi è bene, non fidarsi è peggio”, facendo il verso alla presunta saggezza comune che indica la via del non fidarsi come migliore…

La fiducia è un collante indispensabile della nostra vita sociale. A fronte del paradigma sfiduciario, che affida al diritto, armato di leggi, la repressione della malignità umana, c’è anche chi propone un diritto che ci chiede di fidarci gli uni degli altri. Sono una novità, in ambito sanitario, leggi come la 219 (del 2017): Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, che non sono corredate da sanzioni per chi non osserva i comportamenti prescritti. Non per una dimenticanza, ma perché confidano su coloro che sono chiamati ad applicarle. Implicano che i diritti giuridici dei cittadini sono garantiti dal responsabile adempimento dei doveri da parte di coloro che ne assumono la cura. Presuppongono che la relazione fiduciaria sia parte essenziale del rapporto di cura.

Abbiamo più che mai bisogno di focalizzarci su questo elemento costitutivo della cura. Perché la terapia passa per i farmaci, utilizza la parola1 e si appoggia sulla fiducia come risorsa indispensabile per un buon rapporto. Ma dobbiamo essere consapevoli che la speranza che innervava la medicina del passato deve essere reinventata. Tradizionalmente i professionisti si appellavano a un giuramento, nel nome di Ippocrate. Anche di recente la Federazione nazionale degli ordini dei medici ha pensato di reagire alla pandemia di sfiducia che ha travolto la nostra società riproponendo un giuramento: “Io medico giuro: di curare tutti senza discriminazioni; che avrò cura di te, in ogni emergenza; che ti curerò senza arrendermi mai”. Non basta un giuramento per sostenere il rapporto di fiducia di cui ha bisogno la medicina del nostro tempo.

Né la fiducia può più ricorrere ad atteggiamenti paternalistici, che affidavano al medico – alla sua scienza e alla sua coscienza – le decisioni in ambito clinico, senza bisogno di un intervento attivo della persona in cura, che non fosse quello di fare “il paziente” (“Il malato comincia a guarire quando obbedisce al medico”, sentenziava il medico spagnolo Gregorio Marañon). Un atteggiamento che risuona ancora nel titolo della fiction: “Doc, nelle tue mani”. La fiducia adulta che è richiesta ai nostri giorni è altra cosa. La dovremo inventare, perché non ne troviamo traccia nello specchietto retrovisore con cui guardiamo verso il passato. Che cosa sarà questa diversa fiducia? Né affidamento infantile, né ribellismo adolescenziale. Tutte buone ragioni per auspicare che a questo primo “piccolo” festival della fiducia ne facciano seguito altri, per mobilitare una riflessione creatrice sia da parte dei professionisti, sia sul versante dei cittadini. La fiducia del futuro sarà il prodotto di un impegno condiviso per dare un nuovo volto al rapporto che innerva la relazione che tiene insieme i professionisti che erogano le cure e le persone che le ricevono.




In questa direzione si muove anche un nuovo progetto recentemente presentato dall’associazione Slow Medicine ETS: Building Trust Italy, aderendo con convinzione ed entusiasmo all’iniziativa Building Trust (“costruire fiducia”) presentata qualche mese fa dalla fondazione statunitense dei medici internisti2. Slow Medicine ritiene che sia importante progettare azioni concrete, finalizzate a ripristinare e consolidare la fiducia delle persone nei confronti dei professionisti che operano per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle malattie e nei confronti dei servizi e delle istituzioni del Servizio Sanitario Nazionale in cui tali professionisti lavorano. Un assist in questa direzione è venuto da un articolo del Washington Post3, che riportava i dati di una ricerca secondo cui i Paesi più preparati a far fronte alla pandemia da Covid sono quelli che hanno una più alta classifica nei rapporti di fiducia che attraversano la convivenza sociale. Prendendo spunto da questa ricerca internazionale, l’editoriale di Maurizio Bonati: “La fiducia”4 focalizza l’attenzione sulla necessità di ricostruire la fiducia come strategia indispensabile per affrontare l’epidemia nella quale siamo immersi, oltre che favorire la relazione fiduciaria come determinante comune della qualità della vita. Quanto mai opportuno, dunque, che coloro che si riconoscono nel movimento che promuove una medicina “sobria, rispettosa e giusta” facciano della fiducia un obiettivo prioritario. Ci aspettiamo che nel sito “Storie Slow. Dall’ideologia alla corsia”5 fioriscano numerose narrazioni, che diano concretezza a questo snodo fondamentale nel rapporto di cura.

Sandro Spinsanti

Istituto Giano, Riano

www.sandrospinsanti.eu
sandro.spinsanti@gmail.com


BIBLIOGRAFIA

1. Benedetti F. La speranza è un farmaco. Come le parole possono vincere la malattia. Milano: Mondadori Editore, 2018.

2. ABIM Foundation. https://abimfoundation.org/what-we-do/choosing-wisely
(ultimo accesso del 17 giugno 2022).

3. Taylor A. Researchers are asking why some countries were better prepared for covid. One surprising answer: Trust. The Washington Post, February 01, 2022.

4. Bonati M. La Fiducia. Ricerca & Pratica 2022; 38: 3-8.

5. Storie Slow. https://www.slowmedicine.it/storie-slow-norme-editoriali/ (ultimo accesso del 17 giugno 2022).