Revisione


A lavorare nella redazione di una rivista scientifica certe volte prudono le mani. Quando ricevi la proposta di un articolo e nel testo scopri argomentazioni superate, per non parlare di frasi sospese a metà o bibliografie che chiedono vendetta. In quel momento pensi a quanto poco costerebbe un’ultima lettura attenta di un documento, prima che a leggerlo sia chi deve valutarne la qualità. È una trascuratezza che dopotutto vale da conferma della scarsa considerazione in cui si tiene il proprio lavoro: come dire, tanto chi vuoi che legga quel che ho scritto. Oppure, è forse l’idea stessa di revisione a non essere familiare a noi italiani: la mancata revisione della propria macchina è tra i motivi più frequenti per cui veniamo multati. Dovrebbe essere effettuata quattro anni dopo la prima immatricolazione e poi la cadenza della revisione diventa biennale. Una grandissima rottura di scatole e poi la macchina va ancora bene.

Di revisione del Prontuario farmaceutico nazionale (PFN) si parla da parecchio tempo. Sarebbe tra i compiti dell’Agenzia italiana del farmaco dal momento che l’articolo 48, comma 5, lettera d), della legge istitutiva dell’Agenzia dispone la revisione “nei casi di immissione di nuovi farmaci comportanti vantaggio terapeutico aggiuntivo”. Ma come la direzione dell’Agenzia sottolineava in una nota inviata nel novembre 2020 al Ministero, la revisione del PFN “consente di individuare eventuali e significativi scostamenti di prezzo tra farmaci terapeuticamente equivalenti nell’uso prevalente, rimborsati dal SSN, anche al di fuori del caso espressamente previsto dalla lettera d), ossia non solo nei confronti di medicinali di nuova immissione”. Seguiva la specifica di pochi ma non trascurabili obiettivi di politica sanitaria e governo dei medicinali: ridurre o eliminare differenze di prezzi e contenerne la variabilità attraverso una riduzione di quelli più elevati. La revisione avrebbe potuto “garantire ai pazienti il maggior numero di alternative che presentano le stesse indicazioni terapeutiche e un profilo beneficio-rischio sovrapponibile; evitare effetti negativi sulla compartecipazione dei cittadini; prevedere una gradualità nell’applicazione delle riduzioni dei prezzi”. In questo caso la revisione non rimanda a una semplice attività di manutenzione ma a un approccio completamente diverso nel governo dell’innovazione: nel contrattare il prezzo non si assicura un mercato a chi vende ma si definisce solo il valore temporaneo di ciò che viene acquistato. Una bella rivoluzione.

Arrivata – la nota – dev’essere arrivata.
Ma è evidente che non deve aver convinto quasi nessuno. Non solo la necessità di revisione del Prontuario ma anche la più complessiva riconsiderazione del governo del farmaco mancavano infatti nella quasi totalità dei programmi presentati alla vigilia delle elezioni del settembre 2022 dai partiti del governo Draghi.
Di contro, solo Verdi e Sinistra italiana sollecitavano un maggiore uso degli equivalenti, una strategia per l’accesso a costi ragionevoli a farmaci e vaccini veramente innovativi (prevedendo un’azienda pubblica per la produzione e commercializzazione dei medicinali), il potenziamento della ricerca indipendente.
E un ripensamento del funzionamento dell’Aifa (ma niente revisione del prontuario).

Vedremo cosa accadrà. Di certo, a noi italiani la revisione non piace molto. Forse perché nella parola “revisione” c’è anche l’idea di ri-guardare e hai visto mai che osservando con occhi nuovi ti verrebbe voglia di fare qualcosa di diverso.
La revisione non coincide con l’apportare correzioni: è un processo di miglioramento. Tutte le scelte dovrebbero essere soggette a revisione quando le circostanze cambiano.

A pensarci bene, però: non è che queste benedette revisioni si evita di farle perché di fatto in certe stanze non cambia mai gran che?
E questo – alla vigilia delle elezioni – agita o finisce col tranquillizzare?

Ldf – luca.defiore@pensiero.it