Diversi: l’uguaglianza non richiede la somiglianza

Amber va a spasso stringendosi al petto il suo giocattolo, una bambola, a cui dedica cure amorevoli: per settimane la porta a dormire con sé e la riempie di attenzioni, carezze e coccole.

Amber è una scimpanzè adolescente e la “bambola” è costituita dalle setole di una scopa. La giovane scimmia antropomorfa l’ha trovata abbandonata nel recinto dello zoo che la ospita, l’ha privata del manico e per settimane ha accudito il suo giocattolo, come se fosse un cucciolo.

Apre così Diversi. Le questioni di genere viste con gli occhi di un primatologo, l’ultimo libro di Frans de Waal, docente di comportamento dei primati presso il Dipartimento di Psicologia della Emory University di Atlanta, e primatologo celebre nel mondo tanto per i suoi studi sulle scimmie antropomorfe, quanto per la felice penna divulgativa grazie alla quale racconta in prima persona i risultati di queste ricerche.

Con questa sua ultima fatica de Waal entra, garbatamente – come è nel suo stile – ma a gamba tesa, nell’annoso dibattito sulle differenze di genere: determinate biologicamente o costruite socialmente? Se Amber, per conto suo, senza nessun condizionamento o indicazione, si costruisce una bambola da un oggetto assolutamente improbabile e la accudisce come se fosse il suo cucciolo, verrebbe da dire che sia la biologia (la sua natura di femmina mammifera) a spingerla. È morta lì, dibattito finito. Ma, ci dice invece de Waal, le cose sono più complicate di così.


L’UGUAGLIANZA NON RICHIEDE LA SOMIGLIANZA

Lo scrive in chiaro de Waal a scanso di equivoci. Anzi, il punto è qui: non negare che esistano differenze, ma impedire che le diversità producano diseguaglianze.

“Il genere si riferisce alle caratteristiche di donne, uomini, bambine e bambini, che sono socialmente costruite. Ciò include norme, comportamenti e ruoli associati all’essere una donna, un uomo, una bambina o un bambino, oltre che le loro reciproche relazioni”, ci dice l’Organizzazione Mondiale della Sanità. “Il genere è come un cappotto culturale che i sessi indossano quando escono”, aggiunge de Waal con una felice metafora, e la foggia, lo stile di questo cappotto si collegano alle nostre aspettative di uomini e donne e perciò sono diversi da una cultura a un’altra e cambiano nel corso dei secoli.




Rivolgersi alla “natura” come spesso avviene nei dibattiti ideologicamente viziati per trarre conclusioni (e norme) sui ruoli che dovrebbero competere a uomini e donne nella società attuale, così come parlare di “teoria del gender” per negare l’esistenza di persone che non si riconoscono nel sesso loro assegnato alla nascita, significa ignorare quello che l’ormai decennale studio dei comportamenti animali ci sta insegnando. Il lavoro di de Waal, che ha per protagoniste principali le scimmie antropomorfe, ci informa che nel nostro essere animali possiamo trovare ed esprimere una gran diversità di comportamenti, e che cercare il conforto della biologia per giustificare discriminazioni e abusi di potere, in realtà, non porta da nessuna parte.

Per riprendere l’esempio di Amber, gli studi sul modo di giocare indicano che per lo più le bambine e in generale le femmine dei primati fanno giochi che si basano sull’accudimento, un comportamento che si fa risalire al cosiddetto “istinto materno”. Ma, ci fa notare de Waal, in realtà il termine “istinto” è caduto in disuso nelle scienze del comportamento animale perché indica qualcosa di immutabile e che non richiede autonomia e grandi capacità mentali.

Invece, anche se tutti gli animali, e quindi anche noi, hanno tendenze innate, queste richiedono quasi sempre di essere ampiamente integrate dall’esperienza e dall’apprendimento.

Tra i primati la preferenza per i neonati indifesi (veri o impersonati da un giocattolo) è parte della biologia e si osserva di più nelle femmine che nei maschi, ed è “logico se consideriamo che in oltre 200 milioni di anni di evoluzione mammaliana, prendersi cura dei propri discendenti è stato un obbligo per le femmine e un’opzione per i maschi”, sottolinea de Waal, “ma questo non vuol dire che le femmine nascano fornite di capacità materne”, continua il primatologo. L’apprendimento dai modelli di cura espressi da adulti esperti è fondamentale. Per questo le giovani scimmie e le bambine amano i giochi che simulano l’accudimento di un neonato e imitano quello che vedono fare dalle adulte. Ma proprio perché prendersi cura di un piccolo è frutto di apprendimento, lo possono fare anche i maschi. E lo fanno. Il libro illustra esempi di maschi adulti di scimpanzè che adottano cuccioli rimasti orfani e li curano amorevolmente.


CHI COMANDA?

L’altro intramontabile stereotipo di genere vuole i maschi competitivi e gerarchici e le femmine sottomesse o, tutt’al più, indifferenti. E qui a sfatare, o meglio, a reinterpretare le credenze più diffuse sono proprio le due antropomorfe a noi più prossime: scimpanzè e bonobo, le specie che condividono con noi almeno il 96% del nostro patrimonio genetico (la distanza tra noi e l’una e l’altra specie è la stessa).

Le società di scimpanzè riconoscono una palese gerarchia maschile, mentre tra i bonobo (noti come scimpanzè pigmei fino a che proprio de Waal non ha proposto il cambio di nome) sono le femmine a costituire la gerarchia dominante.

I grandi maschi di scimpanzè possono essere molto aggressivi e pericolosi e, con grande sconcerto e dispiacere di Jane Goodall, la madrina degli studi sul campo delle scimmie antropomorfe, si sono rivelati non alieni dall’omicidio intraspecifico. I bonobo, al contrario, diventati celebri per l’estrema facilità con cui si dedicano al sesso, anche omosessuale, usato spesso per stemperare il conflitto sociale o per il semplice piacere, convivono in comunità amichevoli e pacifiche e finora non sono stati documentati omicidi tra di loro.

Abbiamo, quindi, due esempi opposti di società animali, entrambe ugualmente prossime a noi, a cui ispirarci per definire quale sia il comportamento “naturale” di noi umani. Inutile dire che gli scimpanzè costituiscono il modello di riferimento per i sostenitori della superiorità maschile e dei relativi privilegi sociali, mentre i bonobo sono spesso i campioni dei gruppi femministi.

Ancora una volta le cose sono più complicate di così: “quando diciamo che tra gli scimpanzè dominano i maschi e tra i bonobo dominano le femmine, dobbiamo precisare che il genere meno dominante non è mai privo di potere”, ci ricorda de Waal. Entrano in gioco infatti anche altri fattori quali le relazioni, le personalità individuali, l’età, le capacità strategiche. La dominanza non coincide necessariamente con la gerarchia. Come dimostra Mama, per quattro decenni la vera leader di un’ampia colonia di scimpanzè, che si è occupata del benessere del gruppo lasciando esercitare il potere nel corso del tempo a diversi maschi alfa.

Insomma, “le strutture sociali, qualche volta, sono più rigide della biologia che le supporta. Anche se è sempre poco saggio ignorare la biologia, non possiamo neppure semplificare troppo attribuendole la responsabilità dei ruoli sociali. Ciò che oggi sappiamo del comportamento animale e di quello umano indica l’esistenza di una gran varietà di risposte, più flessibili di quanto spesso si creda”.

Eva Benelli

Zadig, Roma

benelli@zadig.it