Dalla parte delle bambine

Maurizio Bonati

Dipartimento di Salute Pubblica
Istituto di Ricerche Farmacologiche
Mario Negri IRCCS, Milano

maurizio.bonati@marionegri.it




Sfogliare i quotidiani negli ultimi giorni dell’anno stimola riflessioni che rimandano a un più ampio contesto spazio-temporale. Gli eventi che hanno caratterizzato gli ultimi mesi possono essere valutati per la loro novità o per il loro ripetersi, per i limiti delle azioni messe in atto per prevenire, contenere, ridurre o curare quelli avversi o per migliorare e potenziare quelli favorevoli alla vita, alla salute, al benessere di tutti o di singole comunità. Purtroppo la realtà rende sbilanciata la comunicazione a favore dei primi con una quotidianità informativa caratterizzata da mesi dalla guerra in Ucraina, dalla pandemia della Covid-19 che si vorrebbe diventata endemia (ma che la situazione in Cina non consente) o delle criticità che mettono a repentaglio il diritto alla salute dei cittadini italiani (lunghe liste d’attesa, ridotto numero di operatori, taglio programmatico ai fondi economici, mancanza di organizzazione efficace ed efficiente in ambito preventivo e dell’assistenza territoriale). Ma tutto questo è il quotidiano ripetersi dell’informazione che riduce l’attenzione aumentando il rischio di rassegnazione, quando non di indifferenza fintanto non si è direttamente coinvolti. La lettura trasversale tra le pagine dei quotidiani può essere invece stimolante inducendo a qualche forma di partecipazione e condivisione, riducendo l’apatia e il disinteresse. Un modo di definire alcuni bisogni, costruire i buoni propositi, auspicare efficaci interventi… anche questo un ripetersi spesso implacabile.

È stato L’ultimo Natale1 di Elena Gianini Belotti, nata a Roma nel 1929 da famiglia bergamasca; una coincidenza con la storia del patriarca (suo padre) narrata in uno dei suoi racconti. Pedagogista di scuola montessoriana (aveva anche diretto per vent’anni il primo Centro Nascita Montessori a Roma; la prima esperienza italiana a occuparsi della preparazione al parto e alla cura del bambino nei primi mesi di vita), ha caratterizzato il suo “fare” (“pratica politica”) ponendo ripetutamente la domanda: “Dove sono gli uomini nella vita dei bambini?”, contro la mistica della maternità, adoperandosi per superarla con coerenza tra pensiero, vita, scrittura. La pubblicazione nel 1973 Dalla parte delle bambine2 rappresentò una rottura contro lo stereotipo in cui venivano cresciute le bambine sin dall’infanzia che dovevano essere belle, docili, sottomesse, ordinate… Perché bambine e bambini non possono fare le stesse cose? Perché facciamo leggere, vedere, ascoltare cose diverse a bambine e bambini? Perché proponiamo loro modelli diversi in famiglia, a scuola, nella società? Temi delle battaglie femministe a cui non sempre è corrisposta l’evoluzione dei comportamenti.

La disuguaglianza di genere, in forma ed entità diverse nelle varie società, è comunque presente nell’economia, nell’educazione, nella politica e nella salute. I tassi di scolarizzazione sono diversi, il divario salariale tra donne e uomini è ancora ampio. Solo un terzo dei docenti universitari ordinari è donna e i rettori donne una rarità. Sebbene il numero di medici e ricercatori donne sia aumentato costantemente negli ultimi decenni, le disuguaglianze di genere persistono. Condizioni che influenzano negativamente le donne nella loro carriera e contribuiscono a un avanzamento più lento, a valutazioni meno favorevoli, a una minore rappresentanza nelle posizioni dirigenziali, ma anche ad una iniqua risposta ai bisogni di salute, a cure che spesso non tengono conto delle diversità di genere. La medicina discrimina spesso le donne, con conseguenze anche gravi sulla protezione del loro benessere e della loro salute3.

Sfogliando le pagine c’è la notizia delle studentesse di un liceo di Ravenna che, prima realtà nazionale, hanno ottenuto il congedo mestruale (due giorni al mese di assenza giustificata). Le mestruazioni non sono una malattia, ma una delle caratteristiche biologiche femminili che non dovrebbero essere pregiudizio di discriminazione o ingiustificata medicalizzazione della fecondità. Per circa il 20% delle giovani donne le mestruazioni sono dolorose (dismenorrea) e con perdite abbondanti ed efficaci terapie sono disponibili. L’attenzione e la sensibilità mostrate dalla dirigenza scolastica di Ravenna sono un’importante indicazione per creare quel clima scolastico accogliente e inclusivo che l’anacronistico concetto di merito sembra voler soppiantare. Certo serve anche altro in proposito, come gli assorbenti gratuiti nei bagni e un’informazione/sensibilizzazione a partire dalla scuola nel combattere i tabù delle mestruazioni, ma più in generale della sessualità come parte del percorso educativo/formativo. Oltre gli assorbenti anche i preservativi dovrebbero essere distribuiti gratuitamente in alcuni contesti. Così come la pillola contraccettiva dovrebbe essere gratuita per le giovani donne, come già avviene in molti Paesi europei e come viene ricordato qualche pagina dopo nella rassegna stampa. Sembra che in questo momento la scuola sia La casa delle donne4, il luogo privilegiato ove esprimere e costruire l’autodeterminazione femminile. “Per noi ragazze anche la scuola peggiore è stata momento indispensabile di liberazione. Questo però non significa che la scuola che ci ha educate e istruite sia stata quella di cui avevamo bisogno. E rimpiangerla non mi sembra il caso. Non parliamo poi di chi ha nostalgia di parole come «punizione», «umiliazione», «merito». Siamo di fronte a uno dei tanti rigurgiti patriarcali. Ma si tratta anche di un progetto politico pericoloso che immagina la crescita come un feroce disciplinamento da caserma e la buona riuscita scolastica come facile misurazione dell’obbedienza al risaputo”5. A sessant’anni di distanza “avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni” è ancora un obiettivo educativo da perseguire6.

In altre pagine dei medesimi quotidiani e dello stesso giorno, le notizie che arrivano da regimi teocratici come l’Iran e l’Afghanistan ci informano da tempo (sempre?) che l’autodeterminazione delle donne è tema improponibile anche per la sola riflessione culturale. Quello che da noi è un diritto (avere giorni di congedo mestruale, assorbenti, preservativi e pillole contraccettive gratuite, per rimanere a quanto detto sopra) in Iran e Afghanistan è ancora lontano dall’esserlo: in quei contesti i diritti negati alle donne sono ancora più essenziali proibendo alle ragazze lo sport, espellendole dai posti di lavoro pubblici o proibendo loro di lavorare per le organizzazioni internazionali non governative, non consentendo l’accesso alle scuole, reintroducendo punizioni corporali e lapidazioni. Le storie di Mahsa uccisa per non aver indossato il velo, di Hadis uccisa dopo aver raccolto i capelli in una coda di cavallo, di Sara scacchista ribelle e di tante altre donne coraggiose che bruciano l’hijab, si tagliano i capelli e ballano in pubblico sono di monito per tutti. L’idealismo che anima le donne iraniane con lo slogan “Donna, vita, libertà” è l’essenza per il cambiamento, per una democrazia dei diritti, ovunque, per tutti, di ogni genere ed età. Bisogna stare “Dalla parte delle bambine”.



BIBLIOGRAFIA


1. Gianini Belotti E (a cura di). L’ultimo Natale. Milano: Nottetempo Edizioni, 2012.

2. Gianini Belotti E (a cura di). Dalla parte delle bambine. Milano: Feltrinelli Editore, 2013.


3. Garattini S, Banzi R (a cura di). Una medicina che penalizza le donne. Le prove di una scomoda verità e alcune proposte di soluzione. Roma: San Paolo Edizioni, 2022.

4. Hosain A (a cura di). La casa delle donne. Milano: Garzanti Editore, 2022.


5. Ferrante E. Dialogo tra scrittori. SETTE 23 Dicembre 2022, 18-23. Corriere della Sera.

6. Milani L (a cura di). L’obbedienza non è più una virtù. Documenti del processo di Don Milani. Firenze: Libreria Editrice Fiorentina, 1965.



Inizia il 39simo anno di attività di R&P e, senza ricorrere allo Zen o a qualche arte, è tempo di manutenzione per migliorare.

È cambiato il colophon, quindi la gestione della rivista. Si vogliono aumentare la collaborazione e condivisione del lavoro e quindi si è costituito un Gruppo di collaboratori; alcuni responsabili anche di una rubrica così da coinvolgere altri collaboratori occasionali.

Per valutare la qualità del lavoro e stimolare la riflessione e il miglioramento è stato costituito un Comitato di garanti, saggi e vecchi amici di R&P. Il Gruppo e il Comitato sostituiscono
i precedenti Comitato di redazione e Comitato scientifico.

Come tutti gli inizi d’anno si esprimono le buone intenzioni e così apriamo tre nuove rubriche.
Dal Sud guardando al Nord curata da Paolo Siani, dopo la chiusura di Cronache di una lucida follia al termine della sua esperienza da parlamentare. Tema della rubrica le disuguaglianze interregionali. Per aprire la mente sostituisce la rubrica Recensioni con l’intento di andare oltre la lettura di articoli e libri scientifici pubblicati, ma di attingere anche ad altro materiale “perché nessuno sia più schiavo”. Infine, Alla ricerca del genere: una novità assoluta, rubrica curata da Emilie Sartorelli. La sfida è quella di trattare di salute nell’ambito dei cosiddetti temi SOGIESC (Sexual Orientation, Gender Identity, Gender Expression, Sex Characteristics) secondo le modalità e i valori di R&P.

Ecco queste sono le novità con l’intento di offrire spazi e occasioni a lettori e collaboratori
di confronto, riflessione e... partecipazione. Avanti.
  MB