Casa del bene comune

Maurizio Bonati

maurizio.bonati@ricercaepratica.it


La casa

Era una casa molto carina
Senza soffitto, senza cucina
Non si poteva entrarci dentro
Perché non c’era il pavimento

Non si poteva andare a letto
In quella casa non c’era il tetto
Non si poteva fare pipì
Perché non c’era vasino lì

Ma era bella, bella davvero
In via dei matti numero zero
Ma era bella, bella davvero
In via dei matti numero zero

Era una casa molto carina
(Senza soffitto, senza cucina)
Non si poteva entrarci dentro
(Perché non c’era il pavimento)

(Non si poteva andare a letto)
(In quella casa non c’era il tetto)
(Non si poteva far la pipì)
(Perché non c’era vasino lì)

Ma era bella, bella davvero
(In via dei matti numero zero)
Ma era bella, bella davvero
In via dei matti numero zero

Era una casa molto carina
Senza soffitto, senza cucina
Non si poteva entrarci dentro
Perché non c’era il pavimento

Non si poteva andare a letto
In quella casa non c’era il tetto
Non si poteva far la pipì
Perché non c’era un vasino lì

Ma era bella, bella davvero
In via dei matti numero zero
Ma era bella, bella davvero
In via dei matti numero zero

Vinícius de Moraes
1969


Nel 1893 a Massenzatico (RE) fu inaugurata, per ospitare la sede della locale Cooperativa di consumo, la prima Casa del Popolo in Italia. L’edificio fu denominato “Casa del Popolo” da parte dei delegati durante il II Congresso Nazionale del Partito socialista, per sottolineare che il movimento si riuniva in una casa costruita dagli stessi lavoratori1. Oltre che sede di organizzazione dei lavoratori, le Case del Popolo divennero centri per l’educazione democratica, centri ricreativi, sedi di Società di mutuo soccorso e anche centri per la lotta all’alcolismo. Sin dal loro nascere, fossero di impronta socialista, repubblicana o cattolica, le Case del Popolo sono state luogo ospitale per Cooperative, Circoli, Leghe, Casse rurali, Associazioni di mutua carità che operavano nella comunità locale. Nel dopoguerra le Case del Popolo si sono caratterizzate, in particolare in Toscana ed Emilia-Romagna, per una frequentazione prevalentemente comunista che ha visto lo scemare della fase propulsiva delle Case con gli anni ’70, come il film Berlinguer ti voglio bene del 1977 diretto da Giuseppe Bertolucci documenta. È da questa tradizione ed esperienza storica che inizia il percorso di implementazione e sviluppo delle Case della Salute in Emilia-Romagna con il piano sanitario regionale 1999-2001 e in Toscana a partire dal 2002.

Con la istituzione del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), nel 1978, la salute è intesa non soltanto come bene individuale, ma soprattutto come risorsa della comunità. L’estensione delle prestazioni sanitarie a tutta la popolazione risponde ad uno dei tre principi fondamentali su cui si basa il SSN: l’universalità (uguaglianza ed equità gli altri due principi indicati nell’articolo 32 della Costituzione)2. La garanzia del diritto alla salute è valutata in termini di prestazioni e di servizi erogati dalle Aziende sanitarie locali, dalle Aziende ospedaliere e da strutture private convenzionate con il SSN attraverso i Livelli essenziali di assistenza (LEA) alla popolazione. Tuttavia le disuguaglianze regionali determinate anche dall’inadempienza nell’applicare i LEA indicano il limite dell’organizzazione del SSN, in termini di qualità e appropriatezza, e l’urgenza di una riforma strutturale3. A 45 anni di distanza dalla sua attivazione il Servizio, copiato, seppur adattato, da quello inglese introdotto nel 1948, che già da tempo mostra di non essere in grado di garantire, in modo uniforme, il diritto universale alla salute ai suoi cittadini, necessita di un profondo aggiornamento basato sui bisogni della popolazione nei vari contesti locali di vita e sui limiti ed errori (inappropriatezza) mostrati4,5. Ribadire che il SSN debba essere pubblico, che necessita di maggiori risorse (umane ed economiche), che la medicina del territorio così come quella preventiva dovrebbe essere la essential facility del SSN non è sufficiente se non accompagnato da un disegno (strategia, visione, volontà, responsabilità) dettagliato e condiviso. Purtroppo a tutt’oggi sguardi lungimiranti, appropriati e credibili non hanno raggiunto l’attenzione dei decisori, così come l’analisi degli esiti delle riforme effettuate (prima riforma, legge n. 502 del 1992 o riforma De Lorenzo; seconda riforma, legge 229 del 1999 o riforma Bindi).

Il Decreto Legge n. 158 del 13 settembre 2012 convertito in Legge 8 novembre 2012 n. 189 (c.d. “decreto omnibus” per la sanità), messo a punto dal Ministro della Salute Renato Balduzzi, poneva particolare attenzione all’assistenza sanitaria territoriale come nodo principale del riordino della rete dei servizi sanitari territoriali. In particolare, cercava di dar seguito ad un altro Decreto, Ministero della Salute 10 luglio 2007, attuativo della Legge 27 Dicembre 2006 n. 296 (Legge Finanziaria 2007), con Ministro Livia Turco, che prevedeva la possibilità della “sperimentazione del modello assistenziale case della salute”. Tra i punti qualificanti del Decreto Balduzzi era il richiamo all’integrazione sociale e agli interventi sociali a rilevanza sanitaria; così come all’ampliamento ed esplicitazione delle professionalità che dovrebbero “abitare” le Case della Salute (p. es. anche ostetriche, tecnici della riabilitazione, operatori sociali). Con una organizzazione del SSN caratterizzato dalla cronica mancanza di risorse da parte della maggioranza delle Regioni (molte sottoposte al piano di rientro, alcune periodicamente commissariate) e dalla disuguaglianza nelle cure, oltre alla mancanza di una copertura finanziaria, entrambi i Decreti si sono caratterizzati come “illusionistici”6. L’esito è stato quello di aver favorito declinazioni (interpretazioni e attuazioni) diverse a livello territoriale, accentuando le disuguaglianze tra i cittadini7-9.

In tale contesto un gruppo spontaneo di operatori di differenti professionalità, con differenti affiliazioni e curricula, nel 2014 attivò una riflessione sulla “Casa della Salute/Comunità” a partire da esperienze territoriali in cui si sperimentavano processi di costruzione comunitaria di salute: dalla Casa della Salute alla Casa della Comunità10. In quell’anno venne stilato dalla Casa della carità insieme alla Fondazione Santa Clelia Barbieri anche il manifesto “per un’autentica Casa della Salute”. A parte il cronico ritardo nella loro effettiva realizzazione – segno, ancora una volta, di una ampia assenza nelle istituzioni di una cultura della salute intesa nel suo significato autentico – laddove si stanno concretizzando, le Case della Comunità presentano le caratteristiche di esperienze di esclusiva riorganizzazione dei soli servizi sanitari.

Un movimento è andato via via crescendo e nel 2020 si è raccolto nell’Associazione Prima la comunità che in vista dell’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha rilanciato il manifesto: “La Casa della Comunità la salute per tutte e per tutti” a cui hanno aderito un migliaio di associazioni nazionali operative sul territorio e attori della salute come bene comune11.

Il PNRR introduce formalmente l’istituzione della Casa della Comunità nell’ambito del potenziamento dei servizi territoriali e di prossimità (reti di prossimità, strutture e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale e innovazione, ricerca e digitalizzazione del Servizio Sanitario sono gli interventi a carico del Ministero della Salute). Ciò rende indispensabile l’avvio di un processo di innovazione che investa i luoghi della vita delle persone, ovvero i contesti dove trovano concretezza tutti i diritti di cittadinanza, a partire dal benessere individuale e collettivo che è il diritto alla salute. Tuttavia nonostante l’opportunità offerta dal PNRR con le risorse messe a disposizione (15,63 miliardi euro) per l’area riguardante la salute (Missione 6) le indicazioni per gli interventi da attuare non riducono il rischio che la Casa della Comunità sia intesa esclusivamente come un poliambulatorio, con un centro amministrativo decentrato, risultato della sola riorganizzazione toponomastica dei servizi sanitari territoriali, al fine di garantire prestazioni in risposta a bisogni individuali e non in un’ottica comunitaria12. Disporre o trasferire più risorse non è sufficiente e i risultati, per esempio, delle politiche pubbliche per il Sud negli ultimi 72 anni ne sono una testimonianza13. Le disuguaglianze sono aumentate, così come la dipendenza da servizi territoriali inefficienti. Servono iniziative innovative che producano efficaci risposte ai bisogni ancora inevasi. Bisogni che occorre identificare a livello delle singole comunità perché le risposte possano essere tempestive, pertinenti ed efficaci: questa è (sarebbe) l’autonomia differenziata. I bisogni di Taranto non sono quelli di Trento e nemmeno quelli delle Tremiti, ma il diritto è unico e va garantito a tutti i cittadini. Una visione e una pratica ben diversa dalla semplice definizione dei livelli essenziali di prestazione14.

Affinché modelli e standard per lo sviluppo di Case della Comunità fossero basate sulle evidenze prodotte da iniziative formali e pertinenti a livello territoriale venne inserito il comma 4-bis all’art.1 del D.L. 34/2020 convertito con legge 77/2020 che stabilisce che il Ministero della Salute, “sulla base di un atto di intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, coordina la sperimentazione, per il biennio 2020-2021, di strutture di prossimità per la promozione della salute e per la prevenzione, nonché per la presa in carico e la riabilitazione delle categorie di persone più fragili, ispirate al principio della piena integrazione sociosanitaria, con il coinvolgimento delle istituzioni presenti nel territorio, del volontariato locale e degli enti del Terzo settore senza scopo di lucro. I progetti proposti devono prevedere modalità di intervento che riducano le scelte di istituzionalizzazione, favoriscano la domiciliarità e consentano la valutazione dei risultati ottenuti, anche attraverso il ricorso a strumenti innovativi quale il budget di salute individuale e di comunità”. Sarebbe interessante e doveroso sapere l’esito di queste sperimentazioni, finanziate con 25 milioni annui, ripartiti tra le Regioni in base alle rispettive quote di accesso al finanziamento del SSN per gli anni di riferimento 2020 e 202115. Sarebbe utile e doveroso comprendere anche come e quanto i risultati delle sperimentazioni influiranno sul tipo di “case” che verranno “costruite” nei vari contesti territoriali.

Sul fronte della “sperimentazione per le Case della Comunità” nel 2018 viene attivato il Laboratorio di formazione e benchmarking per il community building a tutela della salute promosso dalla FIASO (Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere) con Fondazione Casa della Carità, Fondazione Santa Clelia Barbieri, FederSanità, Cergas SDA Bocconi e Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa16. L’attività del Laboratorio è quella di sperimentare forme di partecipazione attiva di attori di natura diversa (enti pubblici, privati, singoli cittadini, ecc.), volte a innovare le politiche pubbliche e favorire processi collettivi, attraverso forme innovative di partecipazione delle comunità locali, capaci di promuovere l’empowerment dei pazienti e dei loro caregiver e di diffondere logiche di co-produzione. L’attivazione di iniziative e percorsi che favoriscano la nascita di legami di fiducia, di condivisione e di assunzione di un’ottica di comunità che va oltre all’interesse individuale: finalità delle Case della Comunità che dovrebbero contribuire la formazione di reti che connettano in maniera profonda gli attori coinvolti. Si tratta non solo di reti familiari e amicali, ma anche di reti di assistiti (in particolare “fragili”, cronici o non autosufficienti) che, condividendo lo stato di bisogno, trovano nel gruppo di pari un sostegno e un punto di riferimento a cui rivolgersi. Quindi la Casa della Comunità intesa come luogo di integrazione dei servizi sanitari territoriali, di alcuni o tutti i servizi sociali degli enti locali e delle risorse della comunità. In sintonia con le attività di questo Laboratorio è il progetto avviato dall’Associazione Prima la comunità per la valutazione delle innovazioni e dei risultati ottenuti dalle esperienze territoriali avanzate17.

Le Case della Comunità non dovrebbero essere tutte identiche per decreto centrale, ma caratterizzarsi per le specificità del contesto territoriale e l’identità di chi ci abita18. Purtroppo le Case della Comunità che vanno ad aprirsi ottemperando alle indicazioni centrali sono “non luoghi”: uno spazio privo di un’identità, quindi un luogo anonimo, un luogo staccato da qualsiasi rapporto con il contorno sociale, con una tradizione, con una storia. Ricordano, in piccolo, gli aeroporti, gli autogrill, i centri commerciali, le stazioni; tutti luoghi che hanno questa stessa caratteristica, una sorta di anonimato, una riproduzione in serie anche degli ambienti architettonici all’interno del quale quella istituzione è collocata19. Come per la casa della filastrocca di Vinícius de Moraes dedicata ai nipoti, una casa può essere anche “molto carina”, ma se non risponde ai bisogni e aspettative di chi la abita indica che non è stata costruita insieme e la gestione non è partecipata: una casa “di via dei matti numero 0”.

I luoghi della salute dovrebbero essere intesi come spazi destinati a soddisfare le esigenze di vita di una comunità (come un tempo lo erano i monasteri), fondati sulla compresenza di spazi per la sanità (ambulatori) e per la vita sociale di una comunità di abitanti. Non può essere quindi un condominio come aggregazione di alloggi e vani di servizio (ambulatori) adibiti a specifiche funzioni standard20.

Il diritto all’abitazione è sancito anche dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, quindi anche per una comunità. Il piano nazionale di edilizia abitativa, cd. “Piano casa”, è stato introdotto dall’art. 11 del decreto-legge 112/2008, con l’obiettivo di “garantire su tutto il territorio nazionale i livelli minimi essenziali di fabbisogno abitativo per il pieno sviluppo della persona umana”. La similitudine del procedere dei decisori (livelli minimi essenziali abitativi, di assistenza [LEA], delle prestazioni [LEP]) è sorprendente.

Il rapporto tra casa del singolo cittadino e Casa della Comunità necessita di esplicitazione nell’ambito dei nuovi percorsi di promozione, prevenzione e cura. Se l’obiettivo-scommessa è quello di creare una rete appropriata ed efficiente di cure di prossimità, vicine al paziente e personalizzate, implica un cambiamento del paradigma delle cure territoriali che è andato via via a consolidarsi nel tempo nonostante la sua inefficienza, passando dall’attendere il paziente all’“andare verso”. Partire dalla casa del singolo come primo luogo di cura, pensando alla Casa della Comunità come luogo anche della prevenzione; di triage e “accompagnamento” a visite specialistiche (così da ridurre le liste d’attesa o gli accessi al Pronto Soccorso inappropriati); spazio per interventi riabilitativi, inclusivi ed educativi con cittadini “vulnerabili, suscettibili o fragili”21. Affermando così che la persona rimane cittadino per tutta la vita, abita la comunità, e la sua dignità si riconosce nella garanzia del principio di domiciliarità attraverso il quale la comunità stessa riconosce per ciascuno sempre l’appartenenza, l’inclusione, rispettandone bisogni e risorse e garantendone la relazione22.

Non contribuisce al cambiamento e al miglioramento rivendicare un Servizio sanitario universale e accessibile a tutti, che oltretutto trova il consenso di un’ampia maggioranza dei cittadini, se non si propone e sperimenta una nuova organizzazione del Servizio che sia efficiente nel rispondere ai bisogni dei singoli nell’ambito della loro comunità, per un miglior benessere complessivo (sociale, individuale e sanitario). Le persone e le relative culture e quindi i bisogni sono cambiati nel tempo, così anche le risposte per essere appropriate devono cambiare a partire dalla promozione e prevenzione un tempo limitata alle vaccinazioni, poi alla sicurezza sul lavoro. La gestione e gli esiti della pandemia (189.000 decessi positivi dei 26 milioni di contagiati) e i 1090 infortuni sul lavoro del 2022 di cui 790 mortali stanno proprio a dirci che il sistema è vecchio e inefficiente e necessita non di una manutenzione straordinaria, ma di una riforma aggiornata e appropriata ai tempi e ai bisogni dei singoli e delle comunità. Con il PNRR il rischio che interventi prevalentemente architettonici sanitari, senza un nuovo “piano abitativo” e quello della “prevenzione sismica” della salute rendano le Case della Comunità anonime e “disuguali” è alto. A questo proposito il ruolo critico e determinante dei medici di famiglia non sarà secondario perché, sebbene il loro lavoro sia “parte attiva, qualificante e integrata del SSN”, sono liberi professionisti che svolgono un incarico di pubblico servizio, sulla base di un contratto collettivo. Quello dell’inquadramento contrattuale dei professionisti delle Cure Primarie è uno dei nodi fondamentali e più ostici da sciogliere, ma essenziale per una riforma delle Cure Primarie. La riflessione è limitata in termini di partecipazione, ma sostenuta da giovani medici di medicina generale23. Così come sono giovani medici quelli che hanno dato vita ad esperienze ambulatoriali sperimentali con l’approccio della Primary Health Care: “costruendo strategie di intervento che tengano conto dello specifico contesto, delle risorse e delle dinamiche che in esso agiscono influenzando i processi salute-malattia”24. Un approccio onnicomprensivo che tiene conto di tutte le variabili che influenzano la salute delle persone e delle comunità in accordo con la 9a Conferenza Internazionale sulla Promozione della Salute che si è svolta a Shanghai nel novembre 2016 per riaffermare l'importanza della promozione della salute, quale strategia trasformativa, nel migliorare e rendere più equa la salute25. Una comunità di cura deve essere capace di risposte complesse ai bisogni dei territori e delle persone che la vivono. La comunità è la condizione/contesto per il benessere comune, quindi se necessita di una casa questa non può che essere per il bene comune da costruire con/per la comunità. Necessitano quindi costruttori di comunità.


BIBLIOGRAFIA


1. Menzani T, Morgagni F. Nel cuore della comunità. Storia delle case del popolo in Romagna. Milano: Franco Angeli, 2020.

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3. Report Osservatorio GIMBE  N. 2/2022. Livelli Essenziali di Assistenza: le diseguaglianze regionali in Sanità. Fondazione GIMBE, Bologna, dicembre 2022. www.gimbe.org/LEA_2010-2019

4. Powell M. Exploring 70 years of the British National Health Service through anniversary documents. Int J Health Policy Manag 2018; 7: 574-80.

5. Maciocco G. L’anima smarrita del NHS. Salute Internazionale 31 agosto 2022. https://www.salute internazionale.info/2022/08/lanima-smarrita-del-nhs/

6 Bonati M. Casa della Salute/Comunità. Ricerca&Pratica 2016; 32: 113-4.

7. Prandi F, Riboldi F. Riflettendo  sulla “Casa della Salute”. Ricerca&Pratica 2016; 32: 115-9.

8. Brambilla A, Maciocco G. Case della salute. Innovazione e buone pratiche. Roma: Carocci Faber, 2016.

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10. Landra S, Ravazzini M, Prandi F  (a cura di). La salute cerca casa. Manifesto per una comunità protagonista del proprio benessere. Roma: DeriveApprodi, 2019.  

11. Prima la Comunità. Manifesto della Comunità. Giugno 2021. https://www.primalacomunita.it/

12. Maciocco G, Brambilla A. Dalle Case della Salute alle Case della Comunità. Roma: Carocci Editore, 2022.

13. Borgomeo C. Sud. Il capitale che serve. Milano: Vita e Pensiero, 2022.

14. Benelli E, Bonati M. Per una diversa idea di autonomia differenziata. Scienza in rete  10 febbraio 2023. https://www.scienzainrete.it/articolo/diversa-idea-di-autonomia-differenziata/eva-benelli-maurizio-bonati/2023-02-10

15. Regione Lombardia. Progetto “Potenziamento del welfare di iniziativa attraverso la realizzazione di interventi e strutture di prossimità rivolte alle situazioni di gravi marginalità sociosanitarie”. Deliberazione N° XI / 5447 Seduta del 03/11/2021.

16. Longo F, Barsanti S (a cura di). Community building: logiche e strumenti di management. Comunità, reti sociali e salute. Milano: Egea, 2021.

17. Associazione Prima la Comunità. Verso la Casa della Comunità. Ricerca&Pratica 2023; 39: 30-41.

18. Setola N. La forma della Casa della Comunità. Salute Internazionale, 31 ottobre 2022. https://www.saluteinternazionale.info/2022/10/la-forma-della-casa-della-comunita/

19. Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (AGENAS). Documento di indirizzo per il metaprogetto della Casa della Comunità. 2022. https://www.agenas.gov.it/comunicazione/primo-piano/2127-documento-di-indirizzo-per-il-metaprogetto-della-casa-della-comunit%C3%A0

20. Tagliapietra A. Abitare la casa, abitare la città. XÁOS.  Giornale di confine. http://www.giornalediconfine.net/xaos_archivio/archivio/Lo_spazio_e_il_luogo_andrea_tagliapietra.htm

21. Costa G. Vulnerabilità e fragilità in sanità pubblica, nelle politiche e nei metodi di studio. Epidemiologia & Prevenzione 2020; 44 (Suppl. 1): 14-7.

22. Pezza P, Valla D. Rivoluzionare il welfare locale: dieci città ci provano. Vita, 4 gennaio 2022. http://www.vita.it/it/article/2022/01/04/rivoluzionare-il-welfare-locale -dieci-citta-ci-provano/161489/

23. Libro Azzurro per la Riforma delle Cure Primarie in Italia. 2021. https://sites.google.com/view/il-libro-azzurro-della-phc/home

24. Barbetta D, Consoloni M, Ghini L. La medicina generale e la comunità. Salute Internazionale  12 settembre 2022. https://www.saluteinternazionale.info/2022/09/la-medicina-generale-e-la-comunita/

25. World Health Organization. Promoting health in the Sustainable Development Goals: Health for all and all for health. The 9th Global Conference on Health Promotion, Shanghai 2016. https://www.who.int/teams/health -promotion/enhanced- wellbeing/ ninth-global-conference