Un’efficacia irrilevante, e a che prezzo per i pazienti!

Giuseppe Traversa

Epidemiologo, Roma

giuseppetraversa24@gmail.com

Nei corsi di base di epidemiologia, quando si analizzano i risultati degli studi randomizzati (RCT), si impara a distinguere fra significatività statistica e rilevanza clinica. Assumendo che non ci siano differenze fra i gruppi a confronto (ipotesi “nulla”), la famosa “p” esprime la probabilità che una differenza come quella osservata (o maggiore) sia dovuta al caso, ma non dà informazioni su quanto sia importante quella differenza. Con i valori più utilizzati in letteratura, se “p” è inferiore al 5% (o se l’intervallo di confidenza al 95% non comprende l’assenza di effetto), si presenta la differenza osservata come statisticamente significativa, rifiutando così l’ipotesi che sia dovuta al caso.

La rilevanza clinica si riferisce invece a differenze di esito che i pazienti coinvolti avvertono come sufficientemente utili per giustificare un trattamento. Se, ad esempio, dopo un anno di trattamento dimagrante di grandi obesi con un peso medio, diciamo, di 135 chili, si osserva una differenza di 2 chili fra i gruppi a confronto, è probabile che la maggior parte delle persone interessate a dimagrire concordi che una differenza di quell’entità è irrilevante, anche se “p” è inferiore al 5%.

L’individuazione di questa differenza minima di rilevanza clinica (minimal clinically important difference) è almeno in parte discrezionale, ma aiuta a identificare a priori la soglia per definire un trattamento efficace. Si evita così che, a posteriori, ci si faccia guidare dalla “p”, ossia da quanto il risultato è compatibile con il caso, invece che da differenze di esito rilevanti per i pazienti. Una soglia di efficacia sufficientemente alta è inoltre indispensabile per evitare che gli effetti avversi associati al farmaco rendano negativo il profilo beneficio-rischio.

Il caso dell’autorizzazione del lecanemab nei pazienti con demenza di Alzheimer illustra un comportamento in contrasto con quanto esposto. L’RCT alla base dell’autorizzazione ha incluso 1795 pazienti di età compresa fra 50 e 90 anni, con forme iniziali di malattia di Alzheimer (il 61,8% con diagnosi di mild cognitive impairment, MCI, e 38,2% di mild dementia) e presenza di amiloide alla PET1. Nel corso di un follow up di 76 settimane, l’esito primario del confronto fra lecanemab e placebo è stato il cambiamento della scala CDR-SB (Clinical Dementia Rating–Sum of Boxes) che misura un insieme di esiti cognitivi e funzionali, con un range di 0-18 punti (valori più alti indicano forme più avanzate di malattia) e una differenza minima clinicamente rilevante di almeno 0,98 punti per il MCI e 1,63 per la forma di demenza lieve2.

Rispetto al placebo, nei trattati si è osservato un minore peggioramento medio di 0,45 punti, quindi molto inferiore ai due valori appena citati, seppure statisticamente significativo. A fronte di questa sostanziale mancanza di beneficio clinico, il trattamento provoca un aumento di rischio dei cosiddetti fenomeni ARIA (amyloid-related imaging abnormalities), con presenza di edemi (ARIA-E) o microemorragie cerebrali (Aria-H).

Il 14 novembre 2024 il Comitato per i medicinali per uso umano (CHMP) dell’Agenzia europea dei medicinali (EMA) ha raccomandato l’autorizzazione di lecanemab, dopo averla rifiutata a luglio 20243. I dati analizzati erano gli stessi, ma l’EMA ha deciso di restringere l’autorizzazione ai pazienti con rischio minore di reazioni avverse, vale a dire i pazienti eterozigoti o non portatori del gene dell’apolipoproteina E-ε4 (ApoE-ε4). In questa popolazione a minore rischio, tuttavia, l’incidenza di fenomeni ARIA-E passa da 1,3% nel gruppo placebo a 8,9% nei trattati con lecanemab, mentre i fenomeni di ARIA-H passano dal 6,8% del placebo al 12,9% dei trattati. Queste differenze significano, in termini di numero di eventi aggiuntivi provocati dal trattamento con lecanemab: 1 evento di ARIA-E o 1 evento di ARIA-H, rispettivamente ogni 13 o ogni 16 pazienti trattati.

A gennaio 2025 la Commissione europea ha richiesto al CHMP ulteriori chiarimenti sui rischi del farmaco. Nella riunione del 24-27 febbraio, il CHMP ha ridiscusso i dati a disposizione e concluso che il parere positivo espresso a novembre 204 non richiedeva aggiornamenti4.

Si può comprendere la difficoltà di prendere decisioni che riguardano una patologia grave, priva di trattamenti realmente efficaci, che colpisce milioni di pazienti a livello globale. Ma qui siamo di fronte a una decisione pilatesca che scarica le vere decisioni sui medici che devono consigliare il trattamento in assenza di informazioni sul profilo del potenziale responder clinico e con un basso livello di rischio, sui pazienti e sui familiari che devono comprendere i termini della questione, e sulle autorità regolatorie che devono stabilire le condizioni di rimborso e di prezzo. È sensato avere autorizzato un farmaco così rischioso e con efficacia persino inferiore alla minima differenza clinicamente rilevante? Quanto si deve essere disperati per decidere di assumere un farmaco che, dopo 76 settimane di trattamento, riduce la progressione della malattia in maniera impercettibile (o meno della metà del livello minimo considerato utile) ma è associato a un rilevante incremento di edemi e microemorragie cerebrali? E se un farmaco di questo tipo arriva al rimborso (negli Usa il costo di un trattamento annuale è di circa 20.000 dollari), quale ricaduta ci si deve attendere nella definizione del prezzo di farmaci dotati di alta efficacia?

BIBLIOGRAFIA

1. van Dyck CH, Sabbagh M, Cohen S, et al. Lecanemab in early Alzheimer’s Disease. N Engl J Med 2023; 388: 9-21.

2. Liu KY, Schneider LS, Howard R. The need to show minimum clinically important differences in Alzheimer’s disease trials. Lancet Psychiatry 2021; 8: 1013-6.

3. EMA 2024. Leqembi recommended for treatment of early Alzheimer’s disease. https://www.ema.europa.eu/en/news/leqembi-recommended-treatment-early-alzheimers-disease

4. EMA 2025. Leqembi. Update as of 27 February 2025. https://www.ema.europa.eu/en/medicines/human/EPAR/leqembi