Lista d’attesa: della giustizia e di una verità che non arriva

Maurizio Bonati

maurizio.bonati@ricercaepratica.it



La fila alle poste è un’immagine che racconta l’attesa: del proprio turno, della giustizia, di una verità che non arriva.

CHIARA VALERIO


Sono tanti i momenti in cui siamo in fila, tra vicini insofferenti, in ritardo, che cercano di superare gli altri. C’è la fila per fare la spesa, dal dottore, in piscina, al cinema ed è un’occasione di ascolto, relazione, introspezione, anche per fantasticare come ben racconta (a grandi e piccoli) il bravo toy designer e illustratore Luca Boscardin1, ma ovviamente dipende. Essere in fila per prendere un appuntamento per una visita o un esame, per sé o per altri, è parte di un’attesa che non è solo spaziale e temporale.
Ci piaccia o no, comunque, tocca a tutti stare in fila. Edoardo Bennato ne interpretò anche un modello educativo per formare cittadini passivi, conformisti, acritici (“Fare la fila per tre, risponder sempre di sì. E comportarti da persona civile. Ehi!”)
2. Comunque, essere in fila o in una lista non può prescindere sia dall’attesa che dall’atteso: la prima di ordine temporale, il secondo “di giustizia e verità”3. Una verità che non arriva, come quella delle liste d’attesa in sanità.

In un Servizio denaturato in Sistema di prestazioni (urgente, breve, differibile, programmabile) il problema prevalente sembra essere quello delle liste d’attesa causato dalla difficoltà (incapacità?) di una “organizzazione seria delle agende, del coordinamento fra pubblico e privato per garantire il più possibile il diritto alla salute di ogni cittadino, soprattutto se fragile o indigente” come dice il ministro della Salute Oreste Schillaci forse dopo aver consultato la “Piattaforma nazionale liste di attesa” dell’Agenas che documenta che solo il 75% delle prestazioni urgenti rispetta i tempi, mentre quelle meno urgenti sono sempre in ritardo4. Sì certo è un problema di organizzazione e di sistema lo snodarsi della lista di attesa delle prestazioni ambulatoriali5 ma non solo e non solo di mismatch del mercato aziendalizzato della salute pubblica. È anche di appropriatezza della domanda non sufficientemente valutata e promossa, accettando uno spreco economico e finendo per assecondare e sostenere l’attività sanitaria privata. Così come è un problema anche di governance e di oculatezza economica. La lista d’attesa è espressione di tanto altro e in modo diverso: dal contesto, dal bisogno e dalle caratteristiche e dalle motivazioni del beneficiario della prestazione. La spesa privata ha raggiunto il livello di 42,6 miliardi annui, pari a circa il 25% del totale della spesa sanitaria nazionale e una delle principali motivazioni di questa situazione è attribuita alla lunghezza delle liste di attesa (6,8% della spesa) con enormi variabilità intra e tra regioni. La lista d’attesa ha allora a che fare con la giustizia, l’equità, i diritti. La lista d’attesa potrebbe essere considerata come uno dei determinanti della salute, un indice multifattoriale di benessere di un SSN universalistico. Questo implicherebbe: visioni ampie di governance, una programmazione pluriennale che contempli anche correzioni sulla base dei risultati di monitoraggio di efficacia e appropriatezza delle attività; l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze della salute; la responsabilità e la partecipazione individuale e collettiva in base a capacità e possibilità. Purtroppo non è quello che sta succedendo, così che le liste/file crescono e si allungano e le potenziali soluzioni avanzate non potranno che incrementarle, come è il caso di vedere nell’intramoenia le forbici per le liste/file. Infatti il ministro della Salute ha prospettato la possibilità di sospendere l’intramoenia in presenza di liste di attesa troppo oltre i limiti fissati per legge. Forse, ancora una volta, dopo aver consultato la piattaforma Agenas sull’attività libero professionale, apprendendo che quasi sempre a tempi di attesa aumentati nel pubblico corrisponde un numero di prestazioni in libera professione oltre i limiti di legge. Distorsioni che a volte finiscono per generare anche abusi, come quelli rilevati anche dai Nas, di gonfiare le liste di attesa o tagliare i tempi di attesa per gli accertamenti per favorire l’attività intramoenia. Cercare di correggere una distorsione (liste d’attesa) con un’altra distorsione (intramoenia) è quanto mai arduo e più ancora improvvido (Xe pèzo el tacòn del buso).

L’attività intramoenia è prevista in base alla prima (sciagurata) legge di riordino del SSN (Decreto legislativo 502/92, del 30.12.1992; capo del governo Giuliano Amato, ministro della Sanità Francesco De Lorenzo) che introdusse la trasformazione delle Usl in aziende e prevedeva la creazione di un sistema sanitario parallelo e alternativo al SSN, creato dalle assicurazioni e dalle mutue volontarie. Tentativo di liquidare un sistema sanitario unitario e universalistico (un Servizio), in parte, vanificato da Azelio Ciampi l’anno successivo6. Il 1992 fu un anno disastroso per l’economia italiana e per i suoi conti pubblici e quindi l’intramoenia fu vista, anche, come risposta alla richiesta di adeguamento salariale del personale medico ospedaliero. La richiesta a tutt’oggi rimane ancora ampiamente inevasa (in Germania i medici guadagnano il 36% in più, in Belgio il 21%, in UK il 18%)7 e l’intramoenia non è stata abolita o modificata.

L’intramoenia sottostà ad alcune regole che la caratterizzano sia dal lato del prestatore d’opera (il medico) che del cittadino beneficiario. Per il medico: le prestazioni sono le medesime che deve erogare, sulla base del suo contratto di lavoro con il SSN, attraverso la normale operatività come medico ospedaliero e devono essere erogate al di fuori delle normali attività che il medico è tenuto a compiere nel suo servizio ospedaliero per il SSN; l’attività si realizza nell’ospedale dove il medico svolge normalmente il suo compito, ma sotto certe condizioni può essere svolta anche in altro luogo (quindi anche in strutture private stipulando convenzioni!); una quota della remunerazione del medico (attorno al 10%) viene trattenuta dall’ospedale a copertura dei costi aziendali diretti e indiretti. Per il cittadino/paziente: è tenuto al pagamento di una tariffa; può scegliere il medico a cui rivolgersi; accede a una specifica lista di attesa diversa da quella in regime normale di servizio pubblico. La libera professione intramoenia è un’attività riconosciuta e quindi un diritto di cui poter beneficiare, ma senza che vada a scapito dei diritti dei cittadini. Purtroppo quanto disposto dalla legge è largamente infranto poiché in molte Asl vengono effettuati più accertamenti e visite in regime libero professionale dentro le strutture pubbliche di quante se ne facciano in regime pubblico, quando il volume di prestazioni dovrebbe essere inferiore, alle prestazioni del singolo medico e non dell’intero reparto come fatto in alcune realtà4. Difficile in questo contesto, con un ulteriore aumento del 10% nell’ultimo rapporto7, pensare ed essere credibili di sospendere l’intramoenia e ridurre le liste d’attesa. Le distorsioni legate all’intramoenia sono anche altre, tra cui che il 60% della libera professione la facciano i professori universitari e i primari, coloro che dovrebbero nella loro realtà lavorativa contribuire (anche) alla riduzione delle liste d’attesa. Dalla parte del paziente, del diritto del paziente e della qualità della cura l’intramoenia evidenzia una incongruenza enorme: non poter scegliere il medico per una prestazione in regime di SSN è il negare la presa in carico, l’accompagnamento, la relazione (anche di fiducia) tra medico e paziente, la condivisione di un percorso di cura, la reciproca responsabilizzazione, tutti aspetti essenziali garantiti solo se out of pocket. Comprensibile la “disattenzione” in un Servizio diventato sistema che ruota attorno alle prestazioni e non ai percorsi appropriati di cura, ma non accettabile. Per certi versi è come se nella scuola primaria le lezioni fossero garantite (prestazioni), nel rispetto dei programmi ministeriali (richiesta medica), entro un arco temporale (urgente, breve…), con insegnanti che possono variare da un giorno con l’altro pur essendo della stessa scuola e competenza (ambulatori del SSN). Per un programma scolastico sarebbe inconcepibile e improponibile, per un programma di cura invece è comunemente accettato. L’esempio non è eccessivamente forzato, ma rimanda al fatto che ogni intervento per il bene comune dovrebbe contemplare la valutazione dei vari aspetti della vita del singolo e della comunità e del coinvolgimento di entrambi. Il rischio è che con il pretesto di dover garantire la salute per tutti (riducendo le liste/file e cancellando l’intramoenia in modo appropriato) si riducano i diritti, si propongano false soluzioni obbligate o sciagurate sperimentazioni (come la super-intramoenia lombarda stipulando convenzioni con fondi integrativi, mutue e assicurazioni sanitarie) accentuando la già drammatica povertà sanitaria che costringe una famiglia su quattro a rinunciare anche alle prestazioni pubbliche8.


Proseguono invisibili


MEDICINA – L’organizzazione della pediatria ospedaliera nell’ambito della programmazione prevista dalla riforma del 1978 (Legge 233) deve molto all’attività svolta da Lodovico Perletti (1931), pediatra ospedaliero, animatore di Gruppi di lavoro e Commissioni, sia istituzionali che associative. Ha proposto e coordinato la messa a punto di sistemi di classificazione dei pazienti e il finanziamento dei reparti di pediatria e neonatologia ancora oggi i uso. È stato tra i protagonisti delle politiche sanitarie per l’infanzia degli anni ‘80 promuovendo il confronto tra le varie professioni della cura del bambino, in particolare con i pediatri del territorio e l’attenzione ai bisogni psicologici e sociali dell’età evolutiva.

Con lo sguardo alla scuola francese della neurologia classica per la sua formazione David Zerbi (1931) ha, con tenacia, perseguito una pratica della medicina fatta anche di emozioni e sentimenti. Attivo in ambito di cooperazione internazionale, dal 1999 a Saranda in Albania aprendo il primo centro medico di neurologia infantile per la cura dei giovani pazienti albanesi e la formazione del personale locale, guardando poi al Nicaragua e alla Colombia.

Ricercatore in psicofarmacologia presso l’Iss, Giorgio Bignami (1933) si è dedicato soprattutto alla ricerca sull’animale in psicofarmacologia e tossicologia comportamentale, psicologia comparata e psicobiologia. Ha contribuito ad attività istituzionali riguardanti le sostanze psicoattive e l’organizzazione dei servizi per l’assistenza e cura dei tossicodipendenti. Si impegnò nel rinnovamento della medicina e della psichiatria, in particolare con Franca e Franco Basaglia. Si deve a Bignami l’attivazione del primo Progetto Nazionale Salute Mentale, quando era segretario del “Centro OMS per la ricerca e la formazione nel campo della salute mentale in Italia”. L’ultima preziosa attività è stata la raccolta e la valutazione di documentazioni istituzionali e famigliari di potenziale interesse storico-scientifico e scientifico-didattico.

Genetista, già docente presso l’Università di Genova, Presidente di NWRG (New Weapons Research Group), Paola Manduca (1946) è stata una delle prime scienziate a denunciare e dimostrare l’uso di armi non convenzionali da parte di Israele sulla popolazione di Gaza. Ricercatrice sugli effetti delle guerre sulla salute, in particolare sulla salute riproduttiva. Attivista per la difesa dei diritti umani, con prioritaria attenzione alle donne e ai bambini.


ARTI E MESTIERI – Ha narrato l’Italia, delle fabbriche, dei manicomi, degli zingari e delle navi da crociera in Laguna con il clic della Leica. Gianni Berengo Gardin (1930) fedele al reale, all’analogico, al bianco e nero, alla fotografia di documentazione.

Aveva gusto e non solo nel lavoro; caratteristica rara quando è prevalente nella personalità di una persona. Giorgio Armani (1934) frequentò per tre anni la facoltà di Medicina, ma si interessò sempre del corpo umano rivestendolo di semplicità ed eleganza con razionale sentimento. Meritatamente ricco ha alimentato sogni e desideri in un’ampia e variegata popolazione: mica da tutti.

Giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo per nove anni, membro del Consiglio Superiore della Magistratura, Vladimiro Zagrebelsky (1940) è stato uno dei più raffinati giuristi. Intellettuale dei diritti: “Nell’insofferenza politica per la presenza dei giudici e per il ruolo che essi svolgono ha un peso importante il tema della pretesa invenzione di ‘nuovi diritti’: nuovi diritti che danno ai giudici nuove occasioni di intervento. Il giudice non interviene di sua iniziativa, ma risponde a una domanda, cui è obbligato a dar risposta”.

Per anni giornalista scientifica al settimanale “Panorama”, fintanto che la rivista conservò lo spirito de “I fatti separati dalle opinioni”, Gianna Milano (1941) ha curato dossier sugli organismi geneticamente modificati, sul mercato del latte in polvere per i neonati, dei farmaci e dei vaccini che hanno contribuito a informare in modo appropriato, documentato e indipendente su tematiche di interesse pubblico, ma ignorate dai cittadini e da operatori sanitari. Specializzata in giornalismo scientifico all’Università di New York e al MIT di Boston il suo interesse per la sanità pubblica l’ha portata ad affrontare tematiche innovative sia per l’argomento che per le modalità giornalistiche evidence-based. Con la pubblicazione di alcuni libri (tra i quali Sangue e Aids. Storia di uno scandalo italiano, Il Pensiero Scientifico; Bioetica. Dalla A alla Z, Feltrinelli; Quando un bambino non sa leggere, Rizzoli; Storia di una morte opportuna. Il diario del medico che ha fatto la volontà di Welby, Siorni) si è adoperata alla difesa dei diritti negati, in particolare al diritto alla salute. Con La cura in cammino (Il Pensiero Scientifico Editore) ha lasciato una mappa del percorso terapeutico partecipato e condiviso con indicazioni topografiche e culturali, di un cammino, reale percorso in una vita.

Nell’ironico e fantasioso monologo di La misteriosa scomparsa di W Stefano Benni (1947) ha descritto una situazione ospedaliera surreale con umorismo e satira. L’ospedale, la ricerca di una cura, tra reale e surreale, sono al centro di La traccia dell’angelo a sottolineare il suo contributo sulla fragilità umana e sul sistema sanitario con uno sguardo critico e immaginifico. Quindi non solo Bar sport o La compagnia dei Celestini, ma anche un Benni furioso che ha contribuito a far leggere con sorriso il presente, seppur talvolta drammatico, con la speranza per il futuro.

I progetti italiani per disporre di strumenti appropriati per la comunicazione aumentativa alternativa (CAA), quella da utilizzare in condizioni di difficoltà di comunicazione verbale o scritta sin dall’infanzia, ha visto Luca Errani (1967), educatore, un precursore su molti temi e tra gli animatori più attivi e creativi con la scrittura collettiva del Gruppo Parola, con la costruzione e sperimentazione di libri in simboli con la figlia Chiara e con le persone del centro dell’Arca, con la sperimentazione dell’interazione fra teatro e CAA, con l’organizzazione di cicloviaggi. Tutte iniziative che hanno permesso a giovani con disabilità, e alle loro famiglie, di costruire relazioni e interagire con il tessuto sociale. Un libertario in costante ricerca nel confronto, ma anche nel contrasto quando necessario, nell’affrontare i temi dell’inclusione e della partecipazione. 







BIBLIOGRAFIA

1. Boscardin L. Tutti in fila – Standing in line. Milano: Corraini, 2019.

2. Bennato E. In fila per tre. 3.50 min. In: I buoni e cattivi. Milano: Ricordi, 1974.

3. Valerio C. La fila alle poste. Palermo: Sellerio Editore, 2025.