Quanto rapido è abbastanza rapido?

Tutti ricordiamo con quanta ansia, alla fine del 2020, attendevamo l’autorizzazione dei vaccini anti-Covid-19. Allora sarebbe apparso intollerabile qualunque ritardo dovuto a problemi organizzativi o amministrativi interni alle agenzie regolatorie del farmaco. E infatti le agenzie hanno adottato procedure emergenziali per ridurre i tempi delle decisioni su farmaci e vaccini, pur mantenendo elevato il rigore della valutazione.

La domanda è se sia opportuno ridurre drasticamente i tempi di autorizzazione dei farmaci non solo in contesti eccezionali ma anche per un numero crescente di farmaci considerati di interesse prioritario.

A giugno di quest’anno, la Food and Drug Administration (FDA) ha avviato un nuovo programma pilota mirato a ridurre la durata del processo autorizzativo, dai 10 mesi della procedura standard a 1-2 mesi1. Si parte con almeno 5 farmaci l’anno – numero che potrà aumentare nei prossimi anni – e saranno considerati di interesse i farmaci che per gli Stati Uniti rappresentano “national health priorities”: perché affrontano una crisi sanitaria, forniscono cure più innovative, rispondono a un bisogno di salute insoddisfatto, aumentano la produzione nazionale di farmaci come misura di sicurezza nazionale o migliorano la sostenibilità.

Oltre alla riduzione dei tempi, l’azienda produttrice del farmaco selezionato è premiata con l’assegnazione di un voucher da utilizzare per un altro farmaco a scelta, che consente l’accesso a un’altra procedura prioritizzata con completamento della revisione autorizzativa in 6 mesi.

Il programma FDA ha sollevato parecchie obiezioni2. È stato ricordato che nel tempo i periodi del processo autorizzativo si sono già molto ridotti, dai circa 30 mesi degli anni ‘80 agli attuali 8 mesi. È poi un errore enfatizzare la durata dell’autorizzazione, che rappresenta solo il 10% circa dei tempi complessivi di ricerca e sviluppo di un farmaco. Inoltre, dal 1992 a oggi l’FDA ha introdotto cinque programmi di revisione accelerata, e il 66% dei farmaci autorizzati nel 2024 rientrava in una di queste procedure; con i nuovi criteri, l’ambito di ciò che diventa prioritario si amplia ulteriormente. Infine, anche quando un farmaco è autorizzato per l’immissione in commercio, non è garantito l’accesso ai potenziali pazienti: emblematiche restano le difficoltà incontrate in passato con i farmaci anti-HIV, o attualmente con gli antitumorali, nei Paesi a reddito minore.

In definitiva, non è in discussione se in singoli casi sia possibile ridurre i tempi di autorizzazione dei farmaci. È però rischioso quando le stesse agenzie regolatorie contribuiscono a diffondere l’idea che le difficoltà di accesso ai farmaci efficaci derivino da un eccesso di burocrazia del processo autorizzativo. In questo contesto non sorprende che alcuni – come gli autori di un articolo del Wall Street Journal commentato da Roberto Raschetti più avanti3 – propongano di tornare a prima del 1962, con autorizzazioni basate solo sulla sicurezza, senza prove di efficacia. L’azzardo di ridurre i tempi autorizzativi è quello di scaricare sui pazienti trattati nella pratica clinica farmaci con maggiori incertezze di efficacia e conoscenze più limitate sui rischi di reazioni avverse.


BIBLIOGRAFIA

1. Food and Drug Administration. FDA to issue new Commissioner’s National Priority Vouchers to companies supporting U.S. national interests. June 17, 2025 (https://www.fda.gov/news-events/press-announcements/fda-issue-new-commissioners-national-priority-vouchers-companies-supporting-us-national-interests).

2. Carpenter D, Hwang TJ, Kesselheim AS. Flaws in the FDA’s New Priority Voucher Program. N Engl J Med 2025; 393: 1662-4.

3. Raschetti R. Sessant’anni dopo: la tentazione di dimenticare Kefauver. Ricerca&Pratica 2025; 41: 259-60.