Smettere di comprare pubblicità
Tom Jefferson
Scientific Editor PLoS ONE.
Reviewer, Cochrane Acute Respiratory Infections Group
jefferson.tom@gmail.com

“Il New England è la più autorevole rivista medica del mondo?”. Durante i seminari didattici sulla valutazione critica della letteratura scientifica, questa domanda prima o poi arriva. Per rispondere, più di una volta ho indossato i panni di Sun Tzu, cavandomela con una frase che scatena puntualmente ilarità e qualche imbarazzo tra i partecipanti: “Non è la più autorevole. Ha solo un impact factor più lungo del tuo”.
Passa il tempo e su certe cose ho sempre meno voglia di scherzare. Nel 2009 abbiamo pubblicato una revisione sistematica di 259 studi sui vaccini antinfluenzali: tra i risultati, una forte associazione tra il finanziamento dello studio da parte di un’industria e la pubblicazione su una rivista ad elevato fattore di impatto. La cosa sorprendente, però, era la mancanza di correlazione di questa evidenza con la qualità metodologica della ricerca.
Altri elementi sono sotto gli occhi di tutti:
gli studi controllati randomizzati (RCT) sono sempre più raramente supportati da enti indipendenti, per il costo elevato e la crescente complessità di conduzione;
sotto forma di reprint, gli RCT sono diventati la moneta corrente del marketing, esposti ai congressi accanto ai “Riassunti delle Caratteristiche del Prodotto”;
con il calo dei ricavi da pubblicità e da abbonamenti, la vendita di reprint è diventata un fattore a cui non si può rinunciare per la sopravvivenza dei periodici di medicina;
agli editori, ai direttori e alle società scientifiche non è chiesto di dichiarare eventuali conflitti di interessi (sembra riguardino solo gli autori);
le istituzioni pubbliche continuano a spendere milioni di euro per acquisire fonti che in molti casi propongono contenuti finalizzati a sostenere attività di marketing;
l’acquisto dei periodici “a pacchetto” disincentiva la selezione critica da parte delle istituzioni: ti dicono che “paghi 2 e prendi 3” ma in realtà compri pubblicità;
le stesse istituzioni sanitarie che impegnano ingenti risorse per abbonamenti, investono poco nella formazione del personale sanitario alla valutazione critica dei contenuti.
Impedire alle riviste di vendere reprint alle aziende farmaceutiche? Forse. Ma probabilmente la soluzione è ancora più radicale: smettere di pubblicare i risultati degli RCT sulle riviste. Andrebbero piuttosto postati su repositories pubblici e indipendenti, che accolgano i dati nella loro interezza (dal protocollo ai risultati) così che chiunque possa prenderne visione.
Tutto il sistema guadagnerebbe credibilità.