Studi testa a testa per capire se il nuovo è innovativo: il caso del fattore VIII
Il modo prevalente di presentare i nuovi farmaci è il seguente. I nuovi prodotti sono il risultato di notevoli investimenti in ricerca. Quindi, sì, possono costare di più ma consentono di curare malattie e salvare vite. Inoltre, anche se apparentemente più costosi, spesso nel lungo periodo fanno risparmiare, poiché prevengono l’evoluzione della malattia e i costi associati a ricoveri, accertamenti diagnostici e interventi aggiuntivi.
Con queste premesse, ogni qualvolta vi sia un ritardo nel rendere disponibile un nuovo farmaco sorge il sospetto che la ragione del ritardo sia quella di cercare di risparmiare, anche se a danno dei cittadini e dei pazienti. Di norma, poi, la principale responsabilità dei ritardi è attribuita alle Regioni, e il coro degli accusatori è ben nutrito e va dalle associazioni dei pazienti, ai media, alle società scientifiche dei medici.
Oltre che dal coinvolgimento emotivo, inevitabile per le questioni che riguardano la salute delle persone, la difficoltà di condurre una discussione razionale dipende, almeno in parte, dalla tendenza a mettere insieme due problemi diversi. Il primo è di stabilire se un nuovo farmaco presenti un profilo beneficio-rischio migliore, e di quanto, rispetto alle alternative terapeutiche disponibili. Il secondo è di decidere il valore da dare all’eventuale miglioramento, e cioè quale aumento del prezzo sia accettabile per la collettività.
Ci dovrebbe essere consenso sul fatto che, se un nuovo farmaco non dimostra di essere superiore rispetto alle alternative terapeutiche, allora nessun incremento del prezzo sarebbe giustificabile. Il problema è che spesso non conosciamo il valore del nuovo farmaco rispetto alle alternative. Al momento dell’immissione in commercio non è infatti richiesto che il nuovo farmaco si sia dimostrato superiore, o almeno equivalente, rispetto alle alternative disponibili.
Capita, tuttavia, che talvolta si facciano studi testa a testa che consentono di individuare quale farmaco sia migliore. Se un vecchio farmaco risulta migliore di uno nuovo, e quindi oltre che essere migliore è anche meno costoso, ci sono buone chance che la notizia passi semplicemente inosservata. Non ci sono titoli sui giornali, non si sente la protesta delle associazioni dei pazienti e neppure delle società scientifiche.
L’ultimo esempio è riportato in uno studio che deriva da un finanziamento della ricerca indipendente sui farmaci dell’Agenzia Italiana del Farmaco (del bando 2006) e che è stato pubblicato a maggio di quest’anno sul NEJM. In pazienti affetti da emofilia A non precedentemente trattati è stato verificato se concentrati differenti di fattore VIII – plasmaderivato contenente il fattore di von Willebrand o ricombinante – avessero una differente incidenza di produzione di anticorpi 1. Lo studio ha evidenziato che la terapia con fattore VIII ricombinante è associata quasi a un raddoppio dell’incidenza di sviluppo di anticorpi se confrontata con il fattore VIII fattore plasmaderivato (hazard ratio, 1,87; IC 95%, 1,17-2,96).
Lo sviluppo di anticorpi rende inefficace la terapia con fattore VIII ed è associato ad un aumento della mortalità, della morbilità e della disabilità. Tale problematica costituisce un problema di sicurezza particolarmente rilevante e i nuovi dati hanno determinato l’apertura di una procedura di rivalutazione dei medicinali contenti fattore VIII a livello dell’agenzia regolatoria europea2.
Uno dei punti di forza dello studio, e delle potenziali rilevanti ricadute nella pratica clinica, risiede nell’avere condotto un RCT. Infatti, gli studi clinici non randomizzati condotti in precedenza3-5 avevano mostrato risultati controversi, evidenziando un aumento del rischio di sviluppare anticorpi solo per alcune tipologie di fattore VIII ricombinante.
Il farmaco più nuovo, dunque, è risultato avere un profilo beneficio-rischio meno favorevole. Non solo: l’alternativa, ossia il farmaco plasmaderivato, costa meno. Esso viene, infatti, prodotto in buona parte in conto lavorazione: i centri trasfusionali raccolgono il sangue donato dai cittadini; questo sangue viene lavorato da aziende del settore e restituito alle strutture del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) sotto forma di prodotti finiti (principalmente, albumina, immunoglobuline e fattori della coagulazione).
In Italia, si consumano nel complesso circa 550 milioni di Unità internazionali (UI) di fattore VIII, dei quali il 27% è plasmaderivato6. La spesa complessiva di fattore VIII è stata di 321 milioni di euro nel 2014. La quota di spesa del plasmaderivato è solo il 12% di tale somma: ogni UI costa al SSN meno della metà del prodotto ricombinante. Più nello specifico, sulla differenza di spesa incidono due fattori: poco più della metà del prodotto plasmaderivato è fornito “gratuitamente” al SSN (come risultato del conto lavorazione); il prodotto ricombinante costa mediamente il 30% in più dei prodotti commerciali plasmaderivati. Se anche solo si riducesse il prezzo dei prodotti ricombinanti a quello dei plasmaderivati si produrrebbe un risparmio per il SSN di circa 60 milioni di euro l’anno. Peraltro, da un punto di vista di principio, la riduzione di prezzo dovrebbe essere maggiore tenuto conto del profilo beneficio-rischio meno favorevole dei ricombinanti.
Anche in assenza di una ricontrattazione del prezzo, ci potrebbe comunque essere un risparmio. Basterebbe promuovere maggiormente l’uso del plasmaderivato per avere una riduzione relativa dei consumi del ricombinante, in coerenza con i risultati dello studio e con la conseguente richiesta di aggiornamento delle linee-guida prodotte dall’Associazione Italiana Centri Emofilia, le quali raccomandano attualmente l’uso dei fattori VIII ricombinati nei pazienti precedentemente non trattati7.
C’è infine un’implicazione per la ricerca indipendente: la ricerca “si paga da sola”. A parte le rilevanti ricadute in termini di conoscenza e di salute dei pazienti, i risultati degli studi sono in grado di generare potenziali risparmi di gran lunga superiori all’intero investimento dei programmi di ricerca. Tutto questo, contribuendo anche a chiarire se un nuovo farmaco sia davvero un’innovazione rispetto alle alternative terapeutiche.
Giuseppe Traversa
Centro nazionale di epidemiologia
Istituto Superiore di Sanità
giuseppe.traversa@iss.it
Francesco Trotta
Dipartimento di Epidemiologia,
Servizio Sanitario Regionale Lazio
f.trotta@deplazio.it

BIBLIOGRAFIA
1. Peyvandi F, Mannucci PM, Garagiola I, et al. A Randomized Trial of Factor VIII and Neutralizing Antibodies in Hemophilia A. N Engl J Med 2016; 374: 2054-64.
2. Agenzia Europea dei Medicinali. Rivalutazione dei medicinali contenenti il Fattore VIII e rischio di sviluppare inibitori in pazienti che iniziano il trattamento per l’emofilia A. Londra, 8 luglio 2016. www.agenziafarmaco.gov.it/sites/default/files/Factor_VIII_medicines_EMA_IT_08.07.2016.pdf
3. Gouw SC, van der Bom JG, Ljung R, et al. Factor VIII products and inhibitor development in severe hemophilia A. N Engl J Med 2013; 368: 231-9.
4. Collins PW, Palmer BP2, Chalmers EA, et al. Factor VIII brand and the incidence of factor VIII inhibitors in previously untreated UK children with severe hemophilia A, 2000-2011. Blood 2014; 124: 3389-97.
5. Calvez T, Chambost H, Claeyssens-Donadel S, et al. Recombinant factor VIII products and inhibitor development in previously untreated boys with severe hemophilia A. Blood 2014; 124: 3398-408.
6. Candura F, Lanzoni M, Calizzani G, et al. Analisi della domanda dei principali medicinali plasmaderivati in Italia. Anni 2011-2014. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2016. (Rapporti ISTISAN 16/7).
7. Arcieri R, et al. The increased demand for plasma-derived factor VIII in Italy. Blood 2016, in press.