Regole e burocrazia

di Antonio Addis*


Spesso quando non si ha fiducia nelle regole che governano i processi di approvazione dei farmaci o dei vaccini si usa il termine “burocrazia”. Non abbiamo il vaccino a disposizione in tempi abbastanza brevi? Oppure il vaccino c’è ma non siamo certi che sia abbastanza sicuro perché è stato approvato troppo velocemente? Due timori diametralmente opposti che trovano spesso un unico colpevole: i regulator. Nonostante l’inglesismo, il termine non conquista nessuna simpatia nel pubblico ma anzi rimarca l’idea di un lavoro fatto di inutile e ridondanti procedure. La burocrazia appunto.

Eppure, proprio per governare la quotidiana incertezza che si associa ad ogni atto medico abbiamo bisogno di regole che per giunta abbiano la possibilità di essere continuamente riscritte. La definizione di regole è un passaggio indispensabile per segnare i progressi ma anche per impedire di ripetere gli stessi errori esponendo a rischi inutili. I limiti alla prescrizione di un farmaco, le avvertenze e le controindicazioni – per esempio – finiscono alla fine, sì, in una Gazzetta Ufficiale come una qualsiasi legge, ma dovrebbero mantenere alle spalle un metodo scientifico che permetta di tornare indietro (o andare avanti) senza pensare che la scelta iniziale sia necessariamente un errore maldestro.

Quest’ultimo punto frastorna ancor di più l’audience in quanto contraria al normale processo di iper-semplificazione giusto-sbagliato, vero-falso. Se dici che una cosa è efficace o sicura non puoi dirmi subito dopo che non lo è. Per molti vale la prima che hai detto.

Di questo stato di cose ne sono colpevoli la stessa comunicazione scientifica e la sua incapacità di costruirsi una sua speciale narrativa. Pensate ad esempio alle risposte degli esperti sempre troppo assertive e di chi ha inventato il termine “salvavita”. Ma anche a chi pone domande nette aspettandosi solo un sì o un no complicando la faccenda. Ancora, pensate al paternalismo di chi pretende che si debba “credere” nella scienza oppure a chi costruisce inutili processi e dietrologie rendendo incomprensibile ogni cosa e minando la fiducia di tutti.

Manca purtroppo una cultura scientifica capace di immaginare regole fatte per essere definite, confutate e quindi ri-definite, in modo continuo. Non abbiamo una comunicazione scientifica costruita con l’umiltà di chi dice ma anche ascolta. Oggi stiamo raccogliendo i frutti di una medicina che ci ha troppe volte abituato all’idea di successo senza farci soffermare sul necessario e immancabile rischio di fallire e di NON riuscire a fare la cosa giusta.

Il nostro Paese, poi, essendo soprattutto un fruitore finale dei prodotti potenzialmente innovativi (mercato) perde per strada il più delle volte l’enorme mole di fallimenti (ricerca) che sta dietro ogni successo terapeutico. Io credo che sia proprio questo che produce alla fine l’insofferenza verso chi deve vigilare continuamente e in modo critico su ogni nuova terapia in via di approvazione ma anche già approvata.

Le agenzie regolatorie in generale, e la nostra Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) in particolare, sono oggi sotto un attacco diretto da parte di chi preferirebbe la mancanza di regole, lasciando alle innovazioni lo spazio che sapranno prendersi autonomamente. Vale la pena dirlo in modo chiaro e senza equivoci: a tempi alterni questa richiesta di cancellazione di “inutili” legacci torna sul tavolo dei decisori. Bisogna sottolineare che non si tratta di un passo in avanti. Al contrario, equivarrebbe alla perdita di controllo, capacità di governo e, per semplificare, di libertà.


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