Task force

Z ona rossa, quarantena, mascherine, tamponi, erre con zero, indice di contagio, ceppi, tasso di letalità: hai voglia a cercare “la” parola alla quale legare i primi mesi del 2020. Ma la parola chiave è un’altra, quella della quale forse non riusciremo a fare mai più senza: task force.
La prima si è insediata il 22 gennaio 2020 ed era quella del Ministero della salute: otto componenti, in rappresentanza dei NAS, dell’Istituto superiore di sanità, dell’Agenzia italiana del farmaco, degli uffici di Sanità marittima, aerea e di frontiera, dell’ospedale Spallanzani. E dell’Agenas: sì, evidentemente l’agenzia esiste ancora. Quaranta sono invece i componenti della cabina di regia (o task force, tranquilli) che dovrebbe tenere insieme il Governo, le parti sociali e gli enti locali alla presenza di Francesco Boccia, ministro degli Affari regionali: questi “esperti” devono essere tra quelli messi peggio, essendo Boccia il signore che dagli scienziati pretende certezze, per intenderci. Il ministero dell’Istruzione ha voluto strafare e gli esperti della sua task force sono cento, c’è posto per la Protezione civile ma anche per pediatri e studenti. Dalla scuola alle carceri, ecco la task force coordinata dal ministro della Giustizia Bonafede, istituita a metà marzo con 40 componenti. Chi prima di natale pensava che Bonafede si sarebbe dimesso è stato clamorosamente smentito. Quanto a task force, Bonafede non lascia: raddoppia. Ne ha due e la seconda è, tout court, sulla giustizia. Molto più discreto il ministro dell’Ambiente Sergio Costa che nella sua task force per il credito sostenibile alle imprese “green” (meglio non dire verdi perché il colore non si intona ai soldi…) ha voluto solo nove persone. Un quarto di quelle presenti in quella sulla liquidità del sistema bancario, che vede la presenza dei ministeri dell’Economia e dello Sviluppo economico ma anche di Mediocredito, ABI e Banca d’Italia.
Il ministero dell’Innovazione non ha innovato e anche lui ha dovuto ricorrere ad una task force sulle soluzioni data-driven (non male, questa): 76 persone suddivise in 8 sottogruppi che si occupano del coordinamento dei lavori, della sistematizzazione della raccolta dati, di un focus sull’impatto economico e su quello sociale, degli aspetti legati alla teleassistenza medica, delle tecnologie digitali per la gestione e il governo dell’emergenza, dell’utilizzo di big data e dell’intelligenza artificiale a supporto dei decisori politici e infine della definizione dei profili giuridici per la gestione dei dati connessa all’emergenza. Speriamo che almeno ogni tanto si sentano con gli undici componenti della task force sulle fake news voluta dal sottosegretario alla Presidenza del consiglio, Andrea Martella. Dodici donne sono nella task force della ministra della Famiglia Elena Bonetti: gruppo che ha pure un titolo. Per un nuovo Rinascimento.
Finché c’è vita c’è speranza e finché c’è Speranza fioccano le task force anche a lungotevere Ripa. Il Comitato tecnico scientifico ha nove componenti fissi integrati di volta in volta da cinque
o sei esperti.




Al bisogno, come il sale nelle ricette: non c’è una regola. A caccia di consigli non è solo il ministro della Salute ma anche il commissario Arcuri che di voci ne deve ascoltare 40: questo è il numero dei componenti della task force di supporto al commissario straordinario. Avvicinandosi la fase 2, sono state create altre due task force: una riunisce Governo ed enti locali (sindaci con governatori come Fontana e Bonaccini, sai le risate) e l’altra sostiene Vittorio Colao nella riflessione sulla transizione verso la libera uscita dagli appartamenti.
Piovono task force, ma non è l’unica novità.
Con il probabile annullamento del campionato italiano di calcio (“Sarei per mandare tutto a monte: so’ romanista” è stato l’equilibrato ma condivisibile parere esperto dell’infettivologo Gianni Rezza durante una conferenza stampa della Protezione civile) sembra che la casa editrice Panini stia lavorando ad un album che raccolga le task force come squadre in competizione: tanto le edicole sono aperte e i regazzini staranno a casa fin quando qualcuno non avrà comprato i saponi per i bagni scolastici e tavolette per i water. Quindi per sempre. Qualcuno ha addirittura ipotizzato i sette capitani: Gualtiero Ricciardi (sulla sua maglia ci sarà scritto solo Walter, alla brasiliana: già si mormora si stia muovendo il Chelsea…), Franco Locatelli (bergamasco e atalantino, ha la fantasia dalla parte sua, se non altro nell’eloquio), Silvio Brusaferro (altezza 1,91 leggeremo nel suo profilo, esperto di sicurezza, difensore nato…), Paolo Vineis (sono anni che si dice che qualche grande squadra italiana intenda riportarlo a casa ma resta ancora a Londra), Gianni Rezza e Beppe Ippolito (“cresciuti nella società”, reciterà l’album, uniscono tecnica e vigore), Ranieri Guerra (qualcuno lo vorrebbe super partes, sia per l’essere di fatto un giocatore del “resto del mondo”, sia per il nome di battesimo da mister).
Il rito della conferenza stampa della Protezione civile sarà finalmente trasmesso in esclusiva su una pay tv e subito dopo l’esposizione della classifica – pardon, dei numeri della pandemia – si susseguiranno in diretta i protagonisti da Milano, Padova, Roma, rendendo infine trasparente quella frammentazione della responsabilità di cui ha parlato Giacomo Galletti sul sito dell’Agenzia regionale sanitaria della Toscana. Giacomo cita un articolo sull’esperienza italiana pubblicato sulla Harvard Business Review e ripreso da Francesco Costa sul Post: “Il fatto che politiche diverse abbiano portato a esiti differenti in due regioni simili doveva essere riconosciuto come una forte opportunità di apprendimento.” Al contrario, si è dato libero sfogo a “soluzioni medioevali” caratterizzate da contese accademiche, risentimenti derivanti da rivalità maturate nel corso delle carriere, antagonismi politici. Quali siano le “soluzioni medioevali” di cui scrive Costa lo spiegano gli autori dell’articolo della HBR: “La difficoltà nel diffondere le nuove conoscenze acquisite è un fenomeno ben noto sia nelle organizzazioni del settore privato che in quelle del settore pubblico. Ma, a nostro avviso, l’accelerazione della diffusione della conoscenza che emerge da diverse scelte di policy (in Italia e altrove) dovrebbe essere considerata una priorità assoluta in un momento in cui ‘ogni paese sta reinventando la ruota’, come ci hanno detto diversi ricercatori. Perché questo accada, specialmente in un momento di eccezionale incertezza, è essenziale considerare diverse politiche come se fossero sperimentazioni, piuttosto che contese personali o politiche, e adottare una mentalità (così come sistemi e processi) che faciliti l’apprendimento dalle esperienze passate e attuali nel gestire la Covid-19 nel modo più efficace e rapido possibile.”
Insomma: le istituzioni si sono spartite gli “esperti” come al Fantacalcio ma potrebbe non essere stata una buona idea. Aggressioni nei talk show su chi ha pensato prima al tocilizumab, lettere di diffida da parte di un “Patto di scienziati” alla microbiologa di un ospedale milanese, bacchettate sulle dita a colleghi “che non hanno niente a che fare con l’Organizzazione mondiale della sanità”, lezioni pubbliche di epidemiologia a ricercatori di fama internazionale accusati di aver sottovalutato l’epidemia e non aver cercato, identificato e isolato i casi asintomatici. Come ha scritto Susanna Turco sull’Espresso, “in questo nugolo di geniali esperti, comitati tecnici scientifici, comitati operativi, task force, gabinetti ministerali, commissione Stato-Regioni, il sospetto è che si arrivi in un amen alla fase tre. La Babele, entro l’estate”.
Perché, per un governo debole, delegare è sempre meglio che decidere.
Ldf – luca.defiore@pensiero.it