Disegni di studio rigorosi anche nelle malattie rare

La rivista Lancet ha appena pubblicato un articolo di un gruppo di ricerca italiano che riporta i risultati di una sperimentazione clinica in pediatria1. In una condizione con una prevalenza al limite superiore delle malattie rare – l’artrite giovanile idiopatica – è stato verificato se l’aggiunta di metotrexate alla terapia standard basata su iniezioni intrarticolari di cortisone migliori gli esiti clinici.
L’esito primario dello studio è stato negativo: non si sono osservate differenze statisticamente significative nella probabilità di una remissione a 12 mesi nelle articolazioni trattate (34% vs 39%, rispettivamente nel gruppo cortisone e nel gruppo con l’aggiunta di metotrexate). Tuttavia, nel gruppo che aveva ricevuto il metotrexate, il tempo mediano trascorso prima di una riacutizzazione della malattia è stato di 10 mesi, rispetto a 6 nel gruppo trattato solo con cortisone. L’ulteriore follow-up a 24 mesi fornirà anche informazioni cliniche sulla sicurezza a più lungo termine.
Lo studio presenta diversi elementi d’interesse e può essere preso a modello per discutere posizioni che vengono sempre più spesso avanzate nelle riviste scientifiche e nelle agenzie regolatorie.
Innanzitutto, studi randomizzati possono essere condotti anche in condizioni cliniche a bassa prevalenza. In effetti, solo in alcune condizioni cliniche cosiddette “ultra rare”, con prevalenze non superiori all’1 per milione di abitanti, il numero assoluto di pazienti è talmente limitato da rendere oggettivamente complicata la conduzione di un RCT. In secondo luogo, la presenza di un gruppo di controllo che riceve la migliore alternativa terapeutica disponibile è indispensabile per rispondere alla gran parte dei quesiti aperti. Questo vale soprattutto se le differenze di effetto attese dal trattamento in studio sono clinicamente significative, ma di entità limitata: non c’è modo di rilevare differenze limitate, in maniera affidabile, al di fuori di una sperimentazione clinica controllata.
Fanno naturalmente eccezione i trattamenti che modificano in modo radicale la prognosi di una condizione grave e con andamento rapidamente progressivo. In questo caso, molte informazioni possono derivare dai confronti con controlli storici. Ma, sfortunatamente, i trattamenti che forniscono un cambiamento davvero radicale nell’esito clinico sono, questi sì, una rarità. Inoltre, se non ci sono problemi etici a introdurre una randomizzazione, è evidente che differenze rilevanti di esito possono essere individuate in tempi brevi e in piccoli gruppi di pazienti. Sebbene a rischio di risultati falsi-positivi, RCT con analisi ad interim definite in anticipo sono uno strumento molto più adatto, rispetto a uno studio senza gruppo di controllo, per acquisire in tempi brevi un risultato che convinca non solo i proponenti ma anche coloro che dovranno applicare il nuovo trattamento.
Infine, lo studio citato, finanziato nel bando AIFA 2007, aiuta a capire il contributo specifico che può fornire la ricerca indipendente: dare risposte a quesiti clinici di rilievo, ma privi di interesse commerciale. Valutare in una malattia rara l’efficacia di un vecchio farmaco dal prezzo di pochi euro è un esempio emblematico di insufficiente interesse commerciale. Farlo con disegni di studio rigorosi permette poi di tenere alta l’asticella della qualità di tutti gli studi clinici.
Giuseppe Traversa
Centro nazionale di epidemiologia
Istituto Superiore di Sanità
giuseppe.traversa@iss.it

1. Ravelli A. Intra-articular corticosteroids versus intra-articular corticosteroids plus methotrexate in oligoarticular juvenile idiopathic arthritis: a multicentre, prospective, randomised, open-label trial. Lancet 2017; 389: 909-16.

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