Non strumentalizzare il payback sui farmaci orfani

È atteso che sui contenuti della legge di bilancio ci siano punti di vista contrapposti, sia su singoli aspetti che sull’impostazione complessiva. Sarebbe utile, tuttavia, che prima di dividersi in opposte fazioni ci fosse chiarezza sull’oggetto della discussione. Un caso emblematico è quello delle nuove norme sul payback degli sfondamenti della spesa farmaceutica. Secondo un osservatorio sulle malattie rare (https://goo.gl/pcZq1R), interrogazioni parlamentari (https://goo.gl/6jyHst) e articoli su quotidiani 1, vi sarebbe una penalizzazione dei farmaci orfani, e quindi dei malati con malattie rare, a vantaggio della cosiddetta “Big Pharma”.
Facciamo un passo indietro per vedere come sono cambiate le norme sul payback della spesa per gli “acquisti diretti”, e cioè per i farmaci utilizzati in corso di ricovero in ospedale, o erogati direttamente dalle strutture pubbliche (si pensi agli antitumorali), o acquistati dall’SSN ma distribuiti dalle farmacie al pubblico. Dal 2019, per la spesa che eccede il 6,69% del fondo sanitario (circa 7,7 miliardi di euro, oltre ai due fondi di 500 milioni riservati ai farmaci innovativi), le aziende farmaceutiche dovranno ripianare il 50% dello sfondamento in proporzione alle rispettive quote di mercato (pagherà di più chi fattura di più e viceversa).
Sono previste due esenzioni dal pagamento del payback. La prima è una franchigia di 3 milioni di euro per azienda, come meccanismo di tutela delle piccole aziende. La seconda riguarda i farmaci riconosciuti come orfani dall’EMA, che non contribuiscono al ripiano dello sfondamento.
In precedenza vi era una lista più ampia, che includeva anche i farmaci orfani che alla scadenza brevettuale escono dalla lista EMA, e/o farmaci che non hanno mai ricevuto il riconoscimento EMA anche se utilizzati da pazienti affetti da malattie rare. Secondo i critici, avere ristretto l’esenzione alla lista EMA penalizzerebbe la ricerca e rappresenterebbe un indebito regalo a Big Pharma.
Ora, è legittimo richiedere l’estensione della lista dei farmaci per i quali si chiede l’esenzione dal payback; mancano però giustificazioni razionali, o criteri di equità, per scaricare l’onere sulle aziende che non producono i farmaci orfani. Si possono già sollevare obiezioni nei confronti dell’esenzione per i farmaci orfani della lista EMA. Vi sono, ad esempio, farmaci orfani non innovativi per i quali non si dovrebbe pretendere un trattamento preferenziale, o prodotti per i quali non vi è stata alcuna ricerca clinica autonoma delle aziende, ma che sono arrivati all’approvazione esclusivamente sulla base di evidenze disponibili nella letteratura scientifica. Vi sono poi prodotti i cui fatturati sono tutt’altro che da malattia rara: solo in Italia, nel 2017 la spesa SSN per la lenalidomide, farmaco oncologico orfano, è stata di circa 200 milioni di euro! Infine, ogni volta che si esenta qualcuno, altri dovranno pagare di più. Accanto alle grandi multinazionali – che spesso producono anche farmaci orfani e potrebbero persino guadagnarci dall’allargamento della lista dei farmaci esentati – ci sono aziende più piccole che non producono farmaci orfani ma si troverebbero a pagare per la quota di sfondamento determinata da altri.
In definitiva, se si ritiene che il meccanismo del payback sia sbagliato, bisogna richiederne l’abolizione, con un conseguente aumento di oltre 2 miliardi della spesa farmaceutica. È difficile trovare ragioni di equità – fra pazienti o fra aziende – alla base della richiesta di un allargamento delle esenzioni. Evocare il regalo alle multinazionali è strumentale, non aiuta il confronto di merito e non serve ai pazienti con malattie rare.
Giuseppe Traversa
Centro nazionale di ricerca
e valutazione dei farmaci
Istituto Superiore di Sanità
giuseppe.traversa@iss.it

1. Arcovio V. Stop alle esenzioni per i farmaci orfani. La Stampa, 9 gennaio 2019.

Le opinioni espresse dall’autore sono personali e non riflettono necessariamente quelle dell’istituzione di appartenenza.